La vita che vorrei…

LA VITA CHE VORREI..

Qualche giorno fa mi sono imbattuto in un video su tiktok in cui si parlava dell’ insoddisfazione esistenziale; in effetti, molte persone sentono che la vita che stanno vivendo non è quella che vorrebbero. Nel Buddhismo questo stato particolare è definito ” la sofferenza del non avere ciò che si desidera”; è una delle forme di malessere menzionate nel primo discorso che il Buddha diede ai suoi primi allievi. ( *Si trattò di un insegnamento diretto a persone scelte appositamente, non un discorso pubblico in senso stretto). La cosa interessante è che dalla prospettiva del Dhamma, questa forma di malessere è determinata dalla mente stessa di chi la sperimenta. Non c’è un agente esterno che la causi o che la possa eliminare al posto nostro. Ma qual è la sua causa? Forse vi sorprenderà, ma il problema non risiede nel MONDO esterno percepito come cattivo, ingiusto e spietato ( e in effetti lo è) ma nel MODO in cui noi ci relazioniamo a esso. Il problema risiede nell’ aspettativa che le cose non siano come sono, che siano come vogliamo noi. Questo è esattamente il desiderio illusorio che il Buddha indicò come fonte del dukkha. La cosa interessante è che non è una condanna definitiva: è possibile liberarsi da quel malessere correggendo il modo in cui guardiamo alle cose, riconoscendo le aspettative come il gioco di una mente infantile e illusa.

Tutto ciò non implica un atteggiamento arrendevole e disfattista nei confronti della vita e del mondo; se una cosa ( affetti, lavoro eccetera) non funziona, ed è possibile cambiare in meglio, si cambia. Questo è un modo di coltivare l’equanimità, la via di mezzo tra l’emotività e il diniego. La cosa importante, specialmente nell’ epoca dell’ iperconnessione e dei social, è imparare a non farsi risucchiare dal vortice delle impressioni sensoriali.
Un fattore importante in questo senso è il custodire la mente-cuore, coltivando la vigilanza alle porte dei sensi; la vigilanza filtra le esperienze lasciando passare ciò che è benefico e mettendo da parte ciò che ha un effetto tossico sulle nostre vite. Ma attenzione: abbandonare non significa negare né bloccare. Le esperienze spiacevoli devono essere contemplate, riconosciute e poi lasciate andare, che significa che non vengono attenzionate, accolte, volarizzate o rimuginate ma riconosciute come temporanee, afflittive, impersonali. La nostra pratica è questa. Camminiamo insieme, un passo alla volta. Ognuno è responsabile della propria vita, ma con il sostegno dei tre gioielli e degli amici nel Dharma possiamo farcela. Ci vediamo tutti i martedì sera per proseguire il nostro percorso nel Dhamma.

DAP,
Coordinatore Gruppo Dhammadana

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