
Cenni storici su origini del Mahāyāna, Amitābha e Sūtra del Loto
In questo articolo ci proponiamo di analizzare l’origine del buddhismo Mahāyāna, della figura del Buddha Amitābha e del Sūtra del Loto della Vera Legge (Saddharmapuṇḍarīkasūtra). Il Buddhismo Mahāyāna (Grande Veicolo) si suddivide in due correnti principali: la Yogācāra (o Cittamātra, Solo la Mente) la Mādhyamika (La Via di Mezzo). La prima ebbe origine nel nord dell’india, in Kashmir, quale evoluzione delle idee dei sarvāstivādin, (in particolare dei Vaibhashika e dei Sautrantika); la Mādhyamika ebbe probabilmente origine nella regione di Andra Pradesh, in ambito Mahāsāṃghika. Nāgārjuna, nativo di quella regione, fu probabilmente un monaco Mahāsāṃghika. Nei commentari della scuola Theravāda, il Mahāyāna è conosciuto con il nome Vetulyavada ( la dottrina estesa), e suoi esponenti chiamati con il toponimo di ‘Andhaka’.
Mahāsāṃghika e Mahāyāna
La Mahāsāṃghika fu una delle prime due scuole formatesi dopo il primo scisma nella comunità monastica buddhista originaria (Saṅgha), intorno al III secolo a.C. Il nome significa “Grande Comunità”. I Mahāsāṃghika sono noti per alcune dottrine che anticipano o si avvicinano a quelle del Mahāyāna, come ad esempio, una concezione trascendentalista della figura del Buddha, considerato come essere sovrumano o quasi «divino», in contrasto con una visione più umana e storica del Buddha sostenuta da altre scuole; l’enfasi sulla figura del bodhisattva e sulla loro pratica del Bodhisattvayana come ideale superiore rispetto all’arahant; una maggiore apertura a testi nuovi e rivelazioni progressive, atteggiamento che facilitò la ricezione dei sūtra mahāyāna. Si ritiene che il Mahāyāna abbia avuto radici o influenze significative da parte di correnti derivate o associate ai Mahāsāṃghika, soprattutto nella regione dell’India centrale e meridionale (come l’Andhra Pradesh), dove troviamo sia iscrizioni che testi che mostrano la coesistenza o sovrapposizione delle due tradizioni. I Mahāsāṃghika accettavano la pluralità dei sūtra, inclusi i nuovi testi Mahāyāna; alcune sotto scuole dei Mahāsāṃghika, come i Lokottaravādin (“trascendentalisti”), sembrano particolarmente affini alle idee mahāyāna. Tuttavia, è importante notare che i Mahāsāṃghika non furono mahāyānisti nel senso pieno del termine. Quella dei Mahāsāṃghika era una scuola monastica tradizionale (nikāya), e il Mahāyāna, pur emergendo in parte in quel contesto, si sviluppò anche fuori dalle scuole canoniche, come movimento trasversale o parallelo. Perciò possiamo affermare che il Mahāyāna non derivi direttamente dalla scuola Mahāsāṃghika, ma fu probabilmente influenzato da essa. E tuttavia, le idee dei mahāsāṃghika prepararono il terreno per la nascita e lo sviluppo del Mahāyāna. Alcune correnti del Mahāyāna sorsero all’interno di comunità mahāsāṃghika.
Yogācāra
Il sistema Yogācāra (o Cittamātra, “solo mente”) è una delle due principali scuole filosofiche del Buddhismo Mahāyāna, accanto alla scuola Mādhyamika. La sua origine è il risultato di un’evoluzione complessa, influenzata da fonti antiche, meditative, testuali e filosofiche. Asaṅga (IV sec. d.C.) e Vasubandhu (suo fratello), sono considerati i padri dello Yogācāra. Si dice che Asaṅga ricevette gli insegnamenti dal bodhisattva Maitreya durante una visione meditativa, ma storicamente ciò riflette una trasmissione di testi e insegnamenti avanzati già esistenti in forma più grezza. Lo Yogācāra si sviluppa in continuità con la tradizione meditativa buddhista (soprattutto la meditazione di assorbimento profondo e analisi del funzionamento della mente). Viene influenzato in particolare da analisi della coscienza, come quelle già presenti nell’Abhidharma. Il pensiero dello Yogācāra è fortemente influenzato dalla scuola Sarvāstivāda, in particolare dalla loro analisi della mente, dei dharma e dei momenti di coscienza. Vasubandhu stesso fu inizialmente un Abhidharmika sarvāstivādin, e molte strutture dello Yogācāra sono una reinterpretazione mahāyāna del pensiero abhidharmico. Alcuni sūtra che sono considerati precursori del pensiero Yogācāra includono il Saṃdhinirmocana Sūtra, Il «Sūtra che spiega il significato definitivo»; questo testo introduce concetti fondamentali come le Tre Nature (trisvabhāva) e la coscienza base (ālaya-vijñāna); il Laṅkāvatāra Sūtra, enfatizza la coscienza e la non-dualità; infine lo Yogācārabhūmi Śāstra, un compendio attribuito ad Asaṅga, è una sorta di enciclopedia della pratica e filosofia yogācāra.
Fra le dottrine fondamentali del sistema Yogācāra vi sono:
1. Coscienza di base (Ālaya-vijñāna), Una “coscienza deposito” che contiene le impronte karmiche (bīja) e dà origine al mondo fenomenico.
2. Tre nature (Trisvabhāva), Immaginata (parikalpita): il mondo illusorio, che appare come esistente indipendentemente. Dipendente (paratantra): il mondo condizionato, interdipendente. Assoluta o compiuta (pariniṣpanna): la realtà vista nella sua vera natura, la mente pura.
3. Vijñaptimātra / Cittamātra – “Solo rappresentazione” o “solo mente”, Tutta l’esperienza è coscienziale: non esistono oggetti separati dalla mente, ma solo rappresentazioni (vijñapti).
Madhyamaka
ll sistema Mādhyamika è una delle principali scuole filosofiche del Mahāyāna. La sua origine è strettamente collegata alla figura del filosofo Nāgārjuna, vissuto tra il II e il III secolo d.C. Nāgārjuna visse in India, probabilmente nel sud. È venerato in molte tradizioni buddhiste Mahāyāna e nel Vajrayāna. Nel Mūlamadhyamakakārikā (“Versi fondamentali della Via di mezzo”) — la sua opera principale, espone la dottrina della śūnyatā (vacuità). Altri testi attribuiti a lui o alla sua scuola includono il Vigrahavyāvartanī, il Śūnyatāsaptati, ecc. Il sistema Mādhyamika si sviluppò in un contesto in cui il pensiero buddhista si stava evolvendo, in particolare per rispondere alla scolastica dell’Abhidharma delle scuole buddhiste precedenti (soprattutto Sarvāstivāda), che tendevano a reificare i dharma (elementi fenomenici) e alle critiche provenienti da scuole filosofiche indiane non buddhiste come il Nyāya e il Sāṃkhya, con Il desiderio di chiarire e sviluppare gli insegnamenti della Prajñāpāramitā, la “perfezione della saggezza”. Nāgārjuna sviluppò il concetto di vacuità (śūnyavāda) in modo sistematico: tutti i fenomeni sono vuoti di esistenza intrinseca (svabhāva). Questo non significa che non esistano affatto, ma che esistono dipendentemente (in sanscrito: pratītyasamutpāda = origine dipendente); la “via di mezzo” è il rifiuto di due estremi, Eternalismo (l’idea che le cose esistano in modo assoluto e permanente) e Nichilismo (l’idea che nulla esista o abbia significato). Dopo Nāgārjuna, la dottrina Madhyamaka si sviluppò ulteriormente in due diverse sottocorrenti, la Prāsaṅgika Madhyamaka (Chandrakīrti), che utilizza argomentazioni logiche per assurdo (prāsaṅga) per mostrare l’inconsistenza delle visioni reificanti e la Svātantrika Madhyamaka (Bhāviveka), la quale utilizza sillogismi formali per stabilire le proprie tesi, oltre alla critica delle altrui. Il Mādhyamika ebbe grande influenza nel Tibet, dove diventò una delle principali scuole di pensiero (soprattutto nel lignaggio Gelug di Tsongkhapa).
Madhyamaka e Yogācāra
La dottrina Mādhyamika si concentra sulla vacuità (śūnyavāda) in quanto mancanza di esistenza intrinseca in tutti i fenomeni; lo Yogācāra mira a spiegare l’esperienza in termini di coscienza: il mondo fenomenico è una proiezione della mente. Per i Mādhyamika, tutto è vuoto (śūnyatā), nessuna essenza, per gli Yogācāra, tutto è mente (vijñaptimātra). Nel Mādhyamika, il metodo conoscitivo è prevalentemente basato sull’analisi logica e la dialettica. Nello Yogācāra, si enfatizza l’introspezione meditativa profonda. Per i Mādhyamika i fenomeni non sono né intrinsecamente esistenti né inesistenti; per gli Yogācāra i fenomeni esterni sono illusori; solo la mente è reale. Per i Mādhyamika la causa del dukkha è l’ignoranza dell’origine dipendente, mentre gli Yogācāra pongono l’accento sulle proiezioni karmiche nella coscienza.
Alcuni Mādhyamika (come Candrakīrti) criticarono la Yogācāra, accusandola di essere troppo «realista» rispetto alla mente, mentre certi Yogācāra come Sthiramati criticarono il Mādhyamika per rasentare il nichilismo, cioè la negazione di qualsiasi realtà. Tuttavia alcuni pensatori cercarono di sintetizzare le due visioni: Śāntarakṣita (VIII sec.) combinò Yogācāra e Madhyamaka in una sintesi chiamata Yogācāra-Madhyamaka. Lo Yogācāra si differenzia dal Madhyamaka che afferma la vacuità assoluta (śūnyatā) di tutti i fenomeni. Per Śāntarakṣita la mente è vuota, ma pur sempre funzionale nel processo dell’esperienza. In Tibet, questa sintesi fu molto influente, soprattutto nelle scuole Nyingma e Kagyu, mentre i Gelugpa (con Tsongkhapa) aderirono a una lettura più «pura» del Madhyamaka (Prāsaṅgika). Per i Mādhyamika, la comprensione della vacuità dissolve le basi dell’ego e conduce alla liberazione. Per i Yogācārin, la purificazione della coscienza (soprattutto dell’ālaya-vijñāna, la “coscienza di base”) porta alla visione diretta della realtà. Entrambe le scuole, pur con linguaggi diversi, mirano alla stessa meta: l’illuminazione attraverso la dissoluzione delle illusioni.
Queste divergenze dottrinali sono alla base dei differenti approcci riscontrabili fra il buddhismo tibetano e le scuole cinesi, coreane e giapponesi.
Sul Buddha Amitābha
È plausibile ipotizzare che la figura del Buddha Amitābha si sia evoluta per via del trascendentalismo dei Lokottaravādin-Mahāsāṃghika, come sembra suggerire un passo del Samayabhedo paracana cakra di Vasumitra[1]. Se in origine si trattò di attribuire al Buddha storico una natura trascendente, quasi divina, in seguito presero vita due figure distinte: il Buddha trascendentale, rappresentazione del principio atemporale della verità ultima (Dharmakāya) e quello umano (Nirmāṇakāya) , emanazione concreta del primo. Come naturale evoluzione della metafisica si ebbe la figura intermedia fra i due: il corpo di godimento (saṃbhogakāya), una forma sottile attraverso cui un Dharmakāya può apparire per insegnare ai bodhisattva attraverso esperienze visionarie. Nella figura di Amitābha sarebbero poi confluiti elementi di altre religioni esistenti nell’ area; secondo Masato Tojo, nella figura del Buddha Amitābha sarebbero riscontrabili aspetti riconducibili al dio persiano Mithra. La pratica rituale del Nemobustu, il ‘ricordo del nome di Amitābha’, tema centrale nel Buddhismo della Terra Pura in Cina e Giappone, avrebbe poi influenzato la sistematizzazione del Daimoku, (La recitazione del titolo del Sutra del Loto) operata da Nichiren Daishonin.
Il Sutra del Loto
Il Sutra del Loto (Saddharmapuṇḍarīka Sūtra) riflette elementi dottrinali che si trovano già nel sistema Mahāsāṃghika. Il SdL, uno dei testi più venerati del Mahāyāna, si colloca tra il I e il II secolo d.C.. Per varie ragioni storiche, il SdL divenne uno dei testi più venerati presso i buddhisti in Cina, Corea e soprattutto in Giappone, grazie all’opera del monaco Nichiren Daishonin (1222-1282). La sua dottrina centrale è che tutti e tre i veicoli (yāna)[2] – śrāvakayāna, pratyekabuddhayāna e bodhisattvayāna – sono in realtà un unico Veicolo (Ekayāna), e che tutti gli esseri possono raggiungere la buddhità. Alcune somiglianze tra Mahāsāṃghika e SdL sono:
1. Concezione trascendente del Buddha: Mahāsāṃghika: Il Buddha non è solo un essere umano illuminato, ma una manifestazione cosmica, con poteri sovrannaturali, conoscenza illimitata, non soggetto alla sofferenza, ecc. Similmente, il Sūtra del Loto presenta il Buddha come eterno (cap. 16: “Durata della vita del Tathāgata”), che si manifesta storicamente solo per guidare gli esseri viventi — idea vicina alla dottrina lokottara (“sopramondano”) dei Mahāsāṃghika.
2. Centralità del Bodhisattva: nel Mahāsāṃghika l’ideale del bodhisattva è più elevato di quello dell’arhat. Il Sūtra del Loto sottolinea che tutti gli śrāvaka sono destinati a diventare bodhisattva e Buddha, negando la liberazione definitiva dell’arhat — una posizione pienamente mahāsāṃghika.
3. Flessibilità nella trasmissione del Dharma: I Mahāsāṃghika erano più aperti a nuove scritture e interpretazioni, cosa che spiega perché molti dei primi sūtra mahāyāna sorsero in aree geografiche sotto la loro influenza. Il Sūtra del Loto giustifica l’introduzione di nuove dottrine e l’apparente contraddizione con gli insegnamenti precedenti attraverso la dottrina del “mezzo abile” (upāya).
Il Sūtra del Loto potrebbe aver preso forma a Mathurā o Amarāvatī, dove erano presenti comunità mahāsāṃghika. È plausibile che alcuni elementi del Mahāyāna (come la nozione di Buddha eterno, la supremazia dell’ideale del bodhisattva, la natura illusoria delle distinzioni tra i veicoli) siano stati sviluppati all’interno della comunità mahāsāṃghika. Non si può dire che il Sūtra del Loto sia un testo mahāsāṃghika in senso stretto, ma è molto probabile che sia stato elaborato in un contesto vicino a quello mahāsāṃghika. Ci sono affinità profonde tra le dottrine del Sūtra del Loto e quelle sostenute dai Mahāsāṃghika e dalle loro sotto scuole, soprattutto i lokottaravādin.
NOTE
1. the form body (rupakaya), supernatural power (prabhāva) and lifespan (ayus) of a Buddha is unlimited (ananta).
2. La suddivisione in tre veicoli delle parole del Buddha è un’elaborazione della scolastica post conciliare. Nei testi del Canone Pali non vi è alcun riferimento a suddetta divisione.

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