
L’origine dell’universo (Pāli: loka, anche: cakkavāḷa) è un enigma che da sempre affascina il genere umano sin dalla notte dei tempi. Dalla prospettiva buddhista, la questione dell’origine dell’universo può essere affrontata in due modalità: una oggettiva (esterna) e una soggettiva (interna). Dapprima, prenderemo in esame il punto di vista oggettivo. Innanzitutto, nel Brahmajāla Sutta il Buddha rigettò espressamente diverse teorie sull’origine, la durata e la natura del sé e del cosmo (attānañca lokañca), incluso il creazionismo, come sostenuto da diverse correnti del vedismo pre-buddhista incentrate sul mito di Brahmā o Prajapati. Inoltre, nell’Aggañña Sutta egli affermò che il cosmo (loko) passa da un periodo di evoluzione a uno di contrazione. Nel Kappasutta (AN 4.156), è detto che un eone (kappa) è caratterizzato da quattro momenti virtualmente incalcolabili: involuzione (kappo saṁvaṭṭati), stasi dell’involuzione (kappo saṁvaṭṭo tiṭṭhati), evoluzione (kappo vivaṭṭati) e stasi dell’evoluzione (kappo vivaṭṭo tiṭṭhati).
E tuttavia, non vi è nelle parole del Buddha alcun riferimento ad una supposta origine del creato. Per il Buddhismo, i fenomeni sono il prodotto di cause e condizioni aventi una stessa natura. Per questa ragione il Buddha disse che non è possibile discernere ( paññāyati) un punto d’inizio ( pubba koti) del samsāra; occorre ribadire che il samsāra non è il mondo esterno ma un’esperienza esistenziale soggettiva. Da questo punto di vista, il Buddha indicò nell’interrelazione fra gli oggetti esterni e le facoltà sensoriali interne, e nei successivi processi condizionati, l’origine del mondo (lokassa samudayo):
«Qual è, monaci, l’origine del mondo? In dipendenza dell’occhio e degli oggetti visivi sorge la coscienza visiva. L’incontro dei tre è il contatto. Il contatto è condizione per la sensazione. La sensazione è condizione per il desiderio. Il desiderio è condizione per l’attaccamento. L’attaccamento è condizione per [la continuazione] dell’esistenza. L’esistenza è condizione per la nascita. La nascita è condizione affinché si manifestino vecchiaia e morte, tristezza e lamento, dolore e sofferenza e sfinimento. Questa è l’origine del mondo… ( lo stesso discorso è ripetuto per le altre facoltà dei sensi e i relativi oggetti)..»
(Lokasamudayasutta, Saṁyutta Nikāya 35.107)
In questo contesto, il termine ‘loka’ è usato in senso figurato ad indicare l’insieme ( sabba) delle esperienze sensoriali, per natura precarie e soggette al decadimento:
«Si disintegra (lujjati), perciò è chiamato mondo (loka)»
(Loka sutta, S.N.)
E ancora:
«Tutto ciò che è della natura di dissolversi (Paloka), Ānanda, questo è chiamato ‘mondo’ nel nobile sentiero. E cosa è nella natura di dissolversi? L’occhio, Ānanda, … gli oggetti visibili … la coscienza visiva … il contatto visivo … l’orecchio … i suoni …la mente..il contatto mentale, e tutto ciò che sorge condizionato dal contatto mentale, sperimentato come piacevole, doloroso o neutro – ciò è della natura di svanire’».
(Palokadhamma sutta, S.N)
Inoltre, nel Mūlapariyāyasutta (MN1) il Buddha spiega ad un gruppo di monaci, probabilmente ex degli seguaci della filosofia Sāṃkhya (e perciò molto inclini alla speculazione filosofica), la struttura fondamentale di ogni esperienza soggettiva.
«Vi esporrò una spiegazione sulla radice di ogni esperienza, ascoltate e fate ben attenzione! […]Monaci, un incolto uomo comune…ignorante del Dhamma dei nobili…percepisce l’elemento terra come elemento terra, e avendo percepito l’elemento terra come terra, immagina [un sé]come l’elemento terra, immagina [un sé] nell’elemento terra, immagina [un sé] distino dall’elemento terra, immagina l’elemento terra come ‘mio’; ed egli gode dell’elemento terra. E per quale ragione? Perché non lo ha pienamente compreso.»
Secondo Bhikkhu Bodhi, l’espressione «Egli immagina [un sé] come l’elemento terra», indica una relazione di identificazione diretta con il percepito; «Immagina [un sé] nell’elemento terra», indica una relazione di inerenza o appartenenza, l’identificare se stessi come facenti parte di un dato fenomeno; «Immagina [un sé] all’elemento terra», indica una relazione di differenziazione e distinzione dal fenomeno, e la possibilità di potersene appropriare; «Immagina l’elemento terra come ‘mio’», indica l’esperienza dell’appropriazione, il portare l’oggetto sotto il proprio controllo; «Egli gode della terra»: l’esperienza stessa della sete (taṇhā), la strategia fondamentale attraverso la quale l’Io di dare sostanza al suo esistere tramite la gratificazione dei sensi.»
Perciò, l’origine del mondo che davvero conta è quella soggettiva, legata al problema del dukkha e della sua cessazione. A tal proposito, risultano illuminanti le parole del Buddha a Rohitassa e Kaccāna:
«Non è possibile, meramente viaggiando, conoscere o vedere o raggiungere un limite estremo del mondo in cui non si vi sia nascita, invecchiamento, morte, decadenza o e ancora nascita. Ma allo stesso tempo, vi dico che non è possibile realizzare la fine della sofferenza e del dolore senza raggiungere la fine del mondo; eppure è proprio all’interno di questo corpo alto circa due metri, dotato di percezioni e di mente, io dichiaro esservi il mondo, l’origine del mondo, la cessazione del mondo, ed il sentiero che conduce alla cessazione del mondo.»
(Rohitassa Sutta, A.N.)
«Kaccāna, questo mondo è fondato su una dualità, ossia, esistenza e non esistenza. Kaccāna, in colui che con saggezza vede correttamente il sorgere del mondo, la visione erronea della non-esistenza del mondo non si verifica, ed in colui che con saggezza vede il dissolversi del mondo, la visione erronea dell’esistenza del mondo non si verifica.»
(Kaccānagotta Sutta S.N. 2:17)

Lascia un commento