
COS’È IL KARMA ?
Introduzione
Il termine sanscrito Karma, (Pāli, Kamma), deriva dalla radice verbale ‘kṛ’, simile all’italiano ‘cr’ da cui deriva il verbo ‘creare’; tra i significati di karma troviamo: azione, atto (in senso giuridico), attività, lavoro, pratica. Prima dell’avvento del Buddhismo, l’idea di karma era riferita agli atti rituali quali i sacrifici e le cerimonie rituali atte a produrre un risultato favorevole all’officiante, grazie al potere delle divinità propiziate. In seguito Karma assunse il significato più ampio di legge di causa ed effetto estesa a tutte le azioni generanti un risultato, in questa vita o nelle prossime (Da questo punto di vista, l’idea della rinascita può essere vista come la naturale estensione dell’idea della retribuzione degli atti). Infine, nel Buddhadharma esso assunse il significato di intenzione o motivazione (cetanā). Il Nibbedhika Sutta (Anguttara Nikāya 6.63) riassume in cinque punti la visione del Buddha:
1. «Cos’è, o monaci, il karma ? l’intenzione io definisco Karma. Essendo sorta un’intenzione, si agisce tramite il corpo, la parola e la mente.»
2.«E qual è l’origine del karma? Il contatto (phassa) è l’origine del karma.»
3. «E cos’è la varietà del karma? Vi è, o monaci, un karma [i cui risultati] sono sperimentati nel reame infernale, un karma [i cui risultati] sono sperimentati nel reame animale, un karma [i cui risultati] sono sperimentati nel reame degli spiriti famelici, un karma [i cui risultati] sono sperimentati nel reame umano, un karma [i cui risultati] sono sperimentati nel reame divino. Questo, monaci, è la varietà del Karma.»
4. «E qual è il risultato del karma? Monaci, io affermo che il risultato del karma è triplice: in questa stessa vita, nella successiva, o in qualche altra esistenza.»
5. «E cos’è la cessazione del Karma? Cessando il contatto, cessa il karma; ed è proprio questo Nobile Ottuplice Sentiero la pratica che conduce alla cessazione del karma, ovvero: giusta visione, giusta intenzione, giusta parola, giusta azione, giusto stile di vita, giusta applicazione, giusta consapevolezza e giusto samādhi.»
Il Karma malsano causa di sofferenza è generato sulla base delle tre radici non salutari:
«Monaci, vi sono tre cause per il prodursi del Kamma (nocivo) : Quali tre? La bramosia, l’avversione e l’ignoranza.»
(Nidānasutta, Anguttara Nikāya 3.34)
Similmente, l’azione virtuosa è determinata da intenzioni virtuose. La pratica del Nobile Sentiero è finalizzata alla cessazione delle fonti del karma e della sofferenza che il suo perpetuarsi comporta. Un karma, un agire, virtuoso che metterà fine ad ogni altro karma. Nel Paṭhamabhavasutta (AN 3.6), le intenzioni, scelte e azioni sono paragonate ad un campo fertile nel quale ciascun individuo seminerà, più o meno inconsciamente, i semi del proprio successo o fallimento:
” Ānanda, l’intenzione è il campo fertile, la cognizione il seme e la sete il fertilizzante.”
Fraintendimenti sulla dottrina del karma
1.Corpo, parola e mente
Nell’Upāli Sutta (MN56) il Buddha afferma che dei tre tipi di karma negativi , quello mentale sia il più dannoso:
“Di queste tre azioni, Tapassī, così analizzate e differenziate, l’azione mentale, dichiaro, è la più atroce nel compiere e perpetrare azioni malvagie. L’azione fisica e quella verbale non sono così (atroci).”
Le ragioni di questa affermazione sono incluse nell’interessante dibattito fra lo stesso Upāli e il Buddha. E tuttavia, ciò non significa che il Buddha fosse un idealista; si considerino, ad esempio, quanto detto nel Mahākammavibhaṅgasutta:
“Ho sentito e appreso questo, amico Samiddhi, dalle labbra dell’ asceta Gotama: ‘le azioni corporee sono vane, le azioni verbali sono vane, solo le azioni mentali sono reali’.”
“Non dire così, amico Potaliputta, non dire cos!, non travisare il Beato; non è bene travisare il Beato; il Beato non direbbe così: ‘le azioni corporee sono vane, le azioni verbali sono vane, solo le azioni mentali sono reali’.”
2. Purificare il Karma?
Come già accennato, il Buddha ridefinì il concetto di Karma nei termini di intenzione. L’approccio del Buddha è espresso nel seguente dialogo fra la monaca Punnikā e un bramino impegnato in pratiche rituali per l’accumulazione del karma positivo:
Punnikā: «Chi insegna questo, ignorante agli ignoranti — ‘Ci si libera, attraverso le abluzioni con acqua, del cattivo karma?’ Allora, rinasceranno nei mondi celesti: rane, tartarughe, serpenti, coccodrilli e tutte le creature che vivono nell’acqua. Macellai, pescatori, cacciatori, ladri, assassini, potrebbero, con le abluzioni con acqua, liberarsi dal cattivo karma. Se questi fiumi portassero via il cattivo karma compiuto nel passato, porterebbero via anche i meriti, e quindi saremmo completamente abbandonati a noi stessi. […] Se hai paura del dolore, se non ti piace il dolore, allora non compiere alcun karma nocivo, sia in segreto che in pubblico. Ma se compirai un karma nocivo, non sarai libero dal dolore, quando lascerai questa vita”.
– Therīgāthā, Kuddaka Nikāya 12.1
Questo dialogo dimostra come nel Buddhismo originario non vi fosse alcuna pratica finalizzata alla purificazione mediante rituale del karma. L’idea che il karma possa essere purificato tramite pratiche rituali o con l’ascetismo, come sostenuto dal proto Jainismo, è confutata dal Buddha nel Devadaha Sutta (MN 101). Sembra tuttavia che questa idea sia stata reintrodotta in un contesto Mahāyāna in epoche successive. Gli effetti del karma possono solamente essere sperimentati, e tollerati con pazienza, qualora si manifestino, come narrato nell’Aṅgulimāla Sutta (MN 86).
3. Il karma non è la legge del taglione
Spesso la legge del Karma viene intesa in maniera un po’ semplicistica come una dottrina fatalista simile alla Legge del Taglione : ” se uccidi, verrai ucciso”; ma questa idea non ha nulla a che spartire con la dottrina del karma come intesa dal Buddha nel Loṇakapallasutta, (AN3.100):
“Monaci, se uno dicesse: ‘In qualunque modo una persona compia un’azione, né sperimenterà [ i risultati] tali e quali’ Stando così le cose, la disciplina spirituale non potrebbe essere vissuta e non ci sarebbe alcuna possibilità di porre completamente fine alla sofferenza. Ma se dicesse: ‘In qualunque modo una persona compia un’azione, ne sperimenterà i risultati proprio come dovrebbero essere sperimentati’. Stando così le cose, la vita spirituale può essere vissuta e c’è la possibilità di porre completamente fine alla sofferenza”.
Ancora, nel Cūḷakammavibhaṅgasutta (MN135) afferma:
“Studente, un uomo o una donna uccide esseri viventi ed è un omicida, sanguinario, dedito a percosse e violenza, spietato verso gli esseri viventi. A causa di tale azioni, alla dissoluzione del corpo, dopo la morte, riappare in uno stato di privazione, in una destinazione infelice, in perdizione, persino all’inferno. Ma se alla dissoluzione del corpo, dopo la morte, non riappare in uno stato di privazione, in una destinazione infelice, in perdizione, all’inferno, ma torna invece allo stato umano, allora ovunque rinasca, la sua vita è breve.
4. Passato e presente: karma e rinascita
«Cos’è, o monaci, il vecchio karma? L’occhio, o monaci, è il vecchio karma, costruito sulla base delle intenzioni, di cui è possibile fare esperienza; la lingua è il vecchio karma, costruito sulla base delle intenzioni, di cui possibile fare esperienza […] l’intelletto è il vecchio karma, costruito sulla base delle intenzioni, di cui possibile fare esperienza. E cos’è, o monaci, il Karma nuovo? Quelle azioni che vengono compiute nel presente attraverso il corpo, la parola e la mente: questo, o monaci, è detto essere il Karma nuovo.»
(Kammanirodhasutta, Navapurāṇavagga, SN 35.146)
Il questo sutta il Buddha definisce la nostra esistenza nei termini del manifestarsi delle sedi dei sensi sulla base del karma compiuto in precedenza, detto in gergo ‘vecchio karma’ (purāṇakamma), spiegando che con ‘nuovo karma’ sono da intendersi quelle scelte e azioni compiute come reazione agli stimoli sensoriali, determinanti a loro volta la nostra esistenza, nel presente e nel futuro; l’espressione ‘vecchio karma’ indica il risultato delle azioni precedentemente compiute. In questo modo, abbiamo un circolo vizioso in cui le nostre azioni vanno a determinare il manifestarsi di una nuova unità psicofisica (punabbhava) dotata delle sei basi dei sensi, attraverso le quali si sperimentano quegli stimoli sensoriali in reazione ai quali verranno compiute nuove azioni determinanti a loro volta una nuova esistenza in un circolo senza fine..
5. Non solo karma
Fra le molte opinioni distorte riguardanti il concetto di karma, vi è quella secondo la quale ogni esperienza umana sia totalmente determinata dal Karma. Questa idea è supportata da letture incaute e parziali di affermazioni contenute in alcuni discorsi come la seguente:
«Monaci, gli esseri sono i padroni del proprio karma, gli eredi del karma; Il karma è il loro progenitore, il parente stretto, il rifugio. Qualunque atto compiuto – salutare o nocivo – esso diventerà il loro rifugio.»
(Saṃsappanīyasutta, Anguttara Nikāya 10.216)
Tuttavia, ciò non significa che il karma sia l’unico fattore determinante la buona e cattiva sorte degli esseri; Gautama Buddha criticò il determinismo karmico assoluto affermando che una simile credenza non può che condurre ad un atteggiamento improntato al fatalismo e perciò alla passività:
«Vi sono, o monaci, alcuni asceti e bramini che così asseriscono e opinano: ‘qualunque cosa una persona sperimenti, piacevole, dolorosa o indifferente, tutto ciò è determinato da quanto fatto in passato’. Quindi, o monaci, io approcciai quegli asceti e bramini che asseriscono e opinano che qualunque cosa una persona sperimenti, piacevole, dolorosa o indifferente è determinata da quanto fatto in passato, e domandai loro: ‘è vero che i venerabili asseriscono tale dottrina e opinione? Avendoli così interrogati, essi mi risposero affermativamente. Allora, io dissi loro: stando così le cose, è per via di ciò che è stato fatto in passato che i venerabili tolgono la vita, prendono ciò che non gli è stato dato, sono immorali, mentono, profferiscono parole divisive, parole violente, indulgono in discorsi futili, sono colmi di desiderio, hanno una mente malevola e sono preda di punti di vista erronei’. Colo i quali, o monaci, ripiegano sulla [teoria delle] azioni passate come la vera essenza [delle cose], non nutrono alcun interesse verso ciò che deve essere fatto o che non deve essere fatto, né si esercitano in tale senso. Non riconoscendo come vero e valido ciò che dovrebbe essere fatto e ciò che non dovrebbe essere fatto, essi vivono distrattamente e senza riguardo, e non possono essere legittimamente chiamati ‘asceti’.»
(Titthāyatanasutta, Aṅguttara Nikāya 37)
Il seguente dialogo offre una chiara indicazione su quale fosse la visione del Buddha in merito a questa opinione:
«Sīvaka, che alcune esperienze sorgano come risultato dell’umore bile…dell’umore flemma…dell’umore vento…o per la combinazione di queste tre … o per il cambio di stagione … per la mancanza di cura di sé…o per attacchi dall’esterno … o come risultato delle azioni, è una cosa che ognuno può osservare da sé, e ciò è considerato come vero nel mondo. Ora, quando quegli asceti e quei bramini predicano tale dottrina e punto di vista quale: ‘Qualunque cosa un individuo sperimenti come piacevole, doloroso o neutro, tutto ciò è determinato dal [karma]precedente’, essi eccedono in ciò che è conoscibile da sé stessi travalicando ciò che è considerato vero nel mondo. Pertanto, io dico quegli asceti e bramini sono in errore.»
(Saṃyutta Nikāya 36.21
6.Karma e ingiustizie
Come si è detto, nel Buddha-Dharma con Karma si intende un’azione intenzionale; se non c’è intenzionalità né pianificazione, non si può parlare di karma. Come spiegare allora le ingiustizie? L’Atthasalini elenca 5 leggi (niyama) di cui l’ultima è la legge del karma:
1.Legge ambientale (utuniyāma);
2. Legge biologica (bijja-niyāma);
3.Legge psicologica (citta-niyāma);
4. Legge fenomenologica (dhamma-niyāma);
5. Legge del karma (kamma-niyāma).
Queste cinque leggi naturali concorrono a plasmare il nostro vissuto. Tale processo è definito dall’Abhidhamma ‘kammabhava’, karma dell’esistere. Questo stato di cose è esplicitamente definito nel Pathamabhava sutta, (Anguttara Nikāya 3.76). Inoltre il Mahākammavibhaṅgasutta (MN136) spiega l’apparente contraddizione fra il comportamento individuale e i risultati sperimentati:
«C’è la persona che si è astenuta dall’uccidere gli esseri viventi … e ha adottato la giusta visione. Al momento della dissoluzione del corpo, dopo la morte, riappare negli stati di privazione, in una destinazione infelice, nella perdizione, nell’inferno. [forse] il kamma malsano che ha prodotto la sua sofferenza è stato compiuto in precedenza[allo sviluppo della giusta visione], o il kamma malsano che ha prodotto la sua sofferenza è stato compiuto in seguito, o la visione errata è stata adottata e completata da lui al momento della morte. Per questo motivo, alla dissoluzione del corpo, dopo la morte, egli riappare negli stati di privazione, in una destinazione infelice, nella perdizione, nell’inferno. Ma poiché si è astenuto dall’uccidere gli esseri viventi in questa vita … e ha adottato la giusta visione, ne sperimenterà il risultato qui e ora, o nella sua prossima nascita, o in qualche esistenza successiva».
7.L’insondabilità del Karma
Sempre nel Mahākammavibhaṅgasutta, il Buddha afferma che non tutte le azioni hanno la capacità di produrre risultati anche se alcune appaiono come tali:
“Ānanda, ci sono azioni che sono non operative; e appaiono non operative. Ci sono azioni che sono non operative ma appaiono operative. Ci sono azioni che sono operative e appaiono operative. E ci sono azioni che sono operative ma appaiono non operative.”
Infine, l’Acinteyyasutta (AN 4.77) mette in guardia dal formulare congetture sulla profondità del funzionamento della legge naturale del karma:
«Ci sono quattro cose insondabili col pensiero le quali porterebbero alla follia e all’angoscia chiunque provasse a sondarle con il pensiero. Quali quattro? Il dominio di un Buddha, Il raggio d’azione di una persona nello stato di jhana, I risultati del kamma e l’origine del mondo.»
8.La fine del Karma è la fine della sofferenza
Tuttavia, non bisogna pensare che quello dell’abbandono delle attività intenzionali sia un problema di natura esclusivamente morale; al contrario, come evidenziato in precedenza, per il Buddha l’enfasi è posta sulla natura squisitamente esistenziale del karma, e lo stretto legame fra esso e gli stati afflittivi:
“Ora, Udāyi, un monaco coltiva il fattore risvegliante della consapevolezza sulla base dell’indipendenza, del distacco dalle passioni, dell’abbandono, del lasciar andare;[Una consapevolezza] estesa, vasta, senza limiti, priva di malevolenza. E in colui che ha coltivato un simile consapevolezza la bramosia è abbandonata. Con l’abbandono della bramosia, il kamma è dissolto. Con la dissoluzione del Kamma, il dukkha è abbandonato.
(Taṇhakkhayasutta SN 46.26)

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