Introduzione al samādhi

Dall’incontro di martedì 27 maggio 2025

“La conoscenza della realtà è per colui che è raccolto, e non per chi è privo di raccoglimento. Monaci, Il samādhi è il sentiero, senza samādhi non vi è sentiero.”

(Sīhanādasutta, AN 6.64)

Il termine samādhi deriva da saṃ + ā + dhā, dove ‘saṃ‘ significa ‘assieme’ e ‘dhā’ ‘tenere’; samādhi significa quindi ‘tenere assieme’ o più semplicemente ‘raccoglimento’. Secondo una spiegazione alternativa, questo vocabolo sarebbe formato dall’aggettivo ‘sama’, ‘uniforme’, ‘bilanciato’ (simile all’inglese ‘same’- uguale) e dal suffissso ‘dhi’ ,‘saggezza’; in questo caso, samādhi è traducibile con «equilibrio saggio».

In senso generale, il samādhi è uno stato meditativo caratterizzato da assenza di emozioni perturbanti, gioia, benessere (perlomeno nelle prime fasi) e consapevolezza equanime. È uno stato dell’ essere che si manifesta grazie alla pacificazione graduale delle attività fisiche, verbali e mentali, sia emotive che cognitive. Il giusto samādhi, l’ultimo aspetto del Nobile Ottuplice Sentiero, è quel samādhi che ha come precondizione la realizzazione della giusta visione, la quale è ottenuta attraverso l’apprendimento del Dharma e l’esercizio sistematico della saggia riflessione (yoniso manasikara) , ovvero, il guardare alle cose in accordo al Dharma stesso. Per generare il samādhi sarà necessario sviluppare la giusta consapevolezza. L’attenzione a un oggetto (nimitta) è lo strumento primario per lo sviluppo del samādhi:

“L’unificazione della mente e ciò costituisce il samādhi; i quattro fondamenti della consapevolezza sono lo strumento ( nimitta ) per la coltivazione del samādhi; i quattro sforzi armoniosi ( vedi, retto esercizio) sono i prerequisiti al samādhi; la pratica costante di questi fattori, la loro coltivazione e sviluppo costante, costituisce la coltivazione del samādhi.”

(Cūḷa­ve­dalla­sutta, MN 44)

Perciò, nella fase propedeutica all’ingresso nel nobile sentiero ci avvaliamo dell’ apprendimento e della facoltà riflessiva della mente, mentre nella coltivazione della giusta consapevolezza l’accento è posto su focalizzazione dell’attenzione, osservazione diretta e comprensione della natura generale dell’esperienza; come spiegato nel Satipaṭṭhāna Sutta, innanzitutto vi è la componente organica (corpo); poi vi sono le sensazioni (vedana) connesse al corpo, le emozioni o stadi d’animo determinate dalle sensazioni (citta) e le idee o forme pensiero legate allo stato generale della nostra mente ( dhammā). Questi processi avvengono inconsciamente per poi palesarsi con l’insorgenza delle emozioni disturbanti. La percezione (sañña) condiziona il processo di formazione delle idee, mentre la sensazione (vedana) determina la reazione affettiva ( tanhā & upādāna).

La meditazione (jhāna) con oggetto è un processo di riduzione dell’ affezione o emotività, mentre gli ayatana (stadi del samādhi senza oggetto) sono un processo di riduzione dell’appercezione o sañña. Portando le attività fisiche e mentali nell’ ambito della consapevolezza-riconoscimento, la reazione emotiva e la corrispondente tensione fisica cesseranno gradualmente, lasciando spazio alla quiete. A questo punto sarà possibile accedere al samādhi. La pratica del giusto esercizio ha la funzione di preparare il terreno allo sviluppo della consapevolezza e del samādhi stesso. Vi sono cinque ostacoli principali (Pāli: pañca nīvaraṇāni) allo sviluppo del samādhi: desiderio di piacere (kāmacchanda), avversione (vyāpāda), agitazione e inquietudine (uddhaccakukkucca), torpore e pigrizia (thīnamiddha) e dubbio (vicikicchā). Una volta che il praticante ha preso coscienza della presenza di uno o più di questi stati mentali ostruttivi, qualora egli fosse intenzionato a coltivare il samādhi come pratica propedeutica alla vipassanā, dovrà impegnarsi nel superare tali stati.

Per fare ciò, egli applicherà gli antidoti specifici per ciascun ostacolo, che sono rispettivamente:

1:Desiderio: contemplare gli svantaggi della sensualità e l’aspetto sgradevole degli oggetti dei sensi.

2:Avversione: le meditazioni su amorevole gentilezza, compassione, gioia altruistica ed equanimità.

3.Torpore e pigrizia: Il riflettere sulla morte e l’impermanenza, la meditazione camminata o in piedi, o portare lo sguardo ad una fonte di luce.

4.Agitazione e inquietudine: la consapevolezza del respiro.

5.Dubbio: approfondire gli aspetti su cui si nutrono dubbi con un istruttore o persona competente

Il Samādhibhāvanā Sutta (AN 4.41) enumera quattro forme di samādhi:

“Vi è un samādhi·bhāvanā il quale, quando coltivato e sviluppato conduce a dimorare nel benessere qui e ora; vi è un samādhi·bhāvanā il quale, quando coltivato e sviluppato, conduce all’acquisizione di conoscenza e visione; vi è un samādhi·bhāvanā il quale, quando coltivato e sviluppato, conduce alla consapevolezza e alla chiara comprensione; vi è un samādhi·bhāvanā il quale, quando coltivato e sviluppato, conduce alla distruzione dei veleni.”

Lo stesso sutta descrive il primo tipo di samādhi come la coltivazione dei quattro jhāna con oggetto:

1:Ecco o Monaci, un monaco, distaccatosi dai piaceri sensuali, distaccato dagli stati mentali non salutari, entra e dimora nel primo jhāna, nel quale vi sono pensiero applicato, pensiero sostenuto, gioia e benessere nate dal distacco.

2:Con l’acquietarsi del pensiero applicato e del pensiero sostenuto, sviluppando la fiducia interiore e l’univocità mentale, egli entra e dimora nel secondo jhāna, il quale è libero da pensiero applicato e pensiero sostenuto e caratterizzato da gioia e benessere nate dal raccoglimento.

3:Con lo svanire della gioia, egli dimora equanime, consapevole e chiaramente comprendente, sperimentando benessere corporeo, stato del quale i nobili dichiarano: ‘Egli dimora equanime, consapevole e felice’; in questo terzo jhāna egli entra e dimora.

4:Con l’abbandono di felicità e sofferenza, avendo precedentemente trasceso gioia e dolore, egli entra e dimora nel quarto jhāna, senza sofferenza né felicità, il quale è caratterizzato da consapevolezza equanime completamente purificata. Questo, o monaci, è chiamato il corretto raccoglimento.”

La funzione principale del samādhi è portare la persona in uno stato di chiarezza e rilassamento propedeutici alla visione diretta delle quattro nobili verità:

“Monaci, coltivate il Samādhi; Il monaco la cui mente è raccolta, comprenderà le cose secondo realtà. Ma cosa comprenderà secondo realtà? ‘Questa è la sofferenza’, ciò egli comprenderà secondo realtà; ‘questa è l’origine della sofferenza’, ciò egli comprenderà secondo realtà; ‘questa è la cessazione della sofferenza’, ciò egli comprenderà secondo realtà; ‘questa è la via che conduce alla cessazione della sofferenza’, ciò egli comprenderà secondo realtà.”

(Samādhisutta, SN 56.1)

E ancora:

“Quando la sua mente è raccolta, purificata e chiara, immacolata, libera da impurità, agile, malleabile, salda e imperturbabile, egli la dirige, l’orienta verso la conoscenza della distruzione dei veleni; egli comprende: ‘Questo è il dolore, questa è l’origine del dolore, questa è la cessazione del dolore, questo è il sentiero che conduce alla cessazione del dolore.”

(Samaññaphala Sutta, D.N. 2)

Il samādhi non è un mero stato di concentrazione ma un’esperienza di chiarezza, riposo, equilibrio e presenza mentale. In tale stato non vi è alcuna forma di tensione o sforzo. Nei sutta, lo stato di samādhi è descritto come un fattore di benessere anche nella vita quotidiana:

“Quando, o monaco, il samādhi è in tal modo coltivato e ben sviluppato, allora, o monaco, ovunque tu andrai, vi andrai in uno stato di benessere, ovunque tu starai, vi starai in uno stato di benessere, ovunque rimarrai, rimarrai in uno stato di benessere, ovunque dormirai, dormirai confortevolmente.”

(Saṅkhittasutta, AN 8.36)

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