
LA COSCIENZA NON DESIGNANTE
viññāṇāṁ anidassanaṁ
“Dove acqua e terra, fuoco e vento non trovano più appiglio?
Dove [ le nozioni di] lungo e corto, stretto e largo,
bello e brutto, mentale e materiale si dissolvono senza residui?”
“Così è da rispondere: Nella coscienza (viññāna )non designante (anidassana), non limitata, completamente luminosa:
lì acqua e terra,
fuoco e vento non trovano più appiglio;
lì il lungo e corto, stretto e largo, bello e brutto,
mentale e materiale
si dissolvono senza alcun residuo.
Con la cessazione della coscienza,
a tutto ciò si pone fine.”
(Kevaṭṭasutta, DN 11)
Il termine anidassana, (a+ nidassana) è spesso tradotto come ‘non designante’, ‘non illustrante’, ‘non indicante’ o anche “invisibile”. Nel linguaggio comune, il termine nidassana (illustrazione) indica ciò che rende manifesto (illustra) una cosa non chiara, come evidente dal seguente passaggio:
«Monaci, come se arrivasse un uomo provvisto di lacca o curcuma, indaco o carminio, e dicesse: ‘Io disegnerò nello spazio vuoto delle figure, dipingerò delle immagini nello spazio vuoto’. Cosa pensate o monaci, riuscirebbe quell’uomo a disegnare delle figure nello spazio vuoto, a dipingere delle immagini in tale spazio vuoto?»
«Certamente no, Signore!»
«E per quale ragione?»
«Lo spazio vuoto è immanifesto (anidassano), non vi si può disegnare una figura, dipingere un immagine, per quanta fatica e impegno quell’uomo possa metterci».
(Kakacūpamasutta, MN21)
Per Ñāṇavira, ‘viññāṇāṁ anidassanaṁ’ indica lo stato della coscienza non indicante o manifestante un sé sostanziale, la modalità di coscienza propria di un arahant. La coscienza non designante, luminosa, e senza limiti di cui parla il verso in esame, è la condizione naturale della mente allorché libera dalle limitazioni impostele dalla concezione dualistica dell’esistenza che erroneamente postula un ‘Io’ distinto e contrapposto ad un ‘altro’, un ‘qui’ distinto da un ‘là’, come spiegato nel Mālunkyaputta sutta del Samyutta Nikāya.
Secondo Kaṭukurunde Ñāṇananda Thera, “In questo contesto, l’allusione, con quel suo tocco di immaginifico tipico di questo genere di versi ispirati, è molto probabilmente alla coscienza trascendente di un arahant vivente, in cui, concetti quali ‘terra’, ‘acqua’, ‘aria’, ‘fuoco’, ‘stelle’, ‘sole’, ‘felicità’ ed ‘infelicità’ hanno perso la loro sostanzialità. “
Infine, per Buddhaghosa, il termine anidassanaṁ è da intendersi come una caratteristica del nibbāna:
“Esso, [il nibbāna] è anidassana nel senso che non ricade nel range della coscienza visiva” ; “anidassana è ciò che non può essere illustrato tramite esempi (nidassanābhvato)”.
***
Nel Mahānidānasutta sutta (DN 16) è detto che l’esistenza samsarica è prodotta dalla combinazione di fattori mentali (nāma), forma o oggetto (rūpa), caratterizzata dalle quattro proprietà di resistenza, coesione, calore e motilità ( terra, acqua , fuoco e aria) e coscienza (viññāṇa). Questi fattori si sostengono a vicenda, esistendo in un rapporto di dipendenza reciproca. Venendo meno uno di essi, anche gli altri verranno a decadere, in quanto nessuno di essi può esistere senza gli altri. Capire la correlazione tra nāma, rūpa e viññāṇa è di vitale importanza per comprendere la peculiare visione buddhista sull’origine dipendente del dukkha e sul ridivenire (punabbhava). Ed è a tutto ciò che i versi del Kevaṭṭasutta alludono. Lo strumento per attualizzare la coscienza non designante è la pratica del raccoglimento (samādhi) e della comprensione intuitiva (pañña). Nel samādhi senza oggetto, il rūpa viene trasceso; il Jhānasutta (AN 9.35) spiega il legame fra meditazione (samādhi) e comprensione (pañña, vipassanā):
“Monaci, io vi dico che la fine delle agitazioni mentali dipende dalla dimensione dello spazio infinito”. In riferimento a cosa è stato detto? È il caso in cui un monaco, con il completo superamento delle percezioni dell’ oggetto (rūpa), con la scomparsa delle percezioni della resistenza, non prestando attenzione alle percezioni della diversità, [è conscio:] ‘Spazio infinito’; egli entra e rimane nella dimensione dell’infinità dello spazio. Ed egli considera qualsiasi fenomeno collegato alla sensazione, alla percezione, alle formazioni e alla coscienza* come incostante, insoddisfacente, una malattia, un cancro, una freccia, doloroso, un’afflizione, estraneo, una disintegrazione, vuoto, non sé…”
Ritraendo l’attenzione dall’oggetto si dissolvono anche il nāma e la coscienza relativi ad esso. Per questo motivo, tale stato è definito ‘spazio infinito’ (ākāsānañcāyatana), mentre lo stato di coscienza a essa associato è detto coscienza infinita (Viññāṇañcāyatana). Superando anche questo stato, si accede dapprima allo stato del ‘non vi è nulla’ (nel campo di coscienza) e poi, in quello della ‘né percezione né assenza di percezione’; infine, trascendendo anche questo ottavo stato meditativo, si entra nello stato della cessazione di percezione e sensazione. Ciò però non implica una totale assenza di coscienza; il Mahāvedallasutta (MN 43) spiega:
“Quando un monaco ha raggiunto la cessazione della percezione e della sensazione i fattori condizionanti, fisici, verbali e mentali, sono cessati e si sono calmati. Ma la vitalità (āyu) non è esaurita; il calore (usmā) non viene dissipato e le sue facoltà (indriyāni) sono molto chiare (vippasannāni)”.
Quella calma e quella chiarezza verranno impiegate per contemplare le varie fasi del samādhi nei termini delle tre caratteristiche universali. Perciò, comprendere le caratteristiche generali di tutte le esperienze— transitorietà, insoddisfazione e vuoto di un sé — significa essenzialmente comprendere l’origine e la dissoluzione dipendente di dukkha a cui fa riferimento l’ultimo verso del Kevaṭṭasutta. La dissoluzione degli elementi descritta in questo sutta è puramente concettuale: si tratta della cessazione (nirodha) delle nozioni astratte di terra, acqua, fuoco eccetera, intese come identiche ad un sé in realtà esistente come mera rappresentazione (vijñapti, secondo la scuola Yogācāra) o come sue proprietà o attributi.
*Come possiamo notare, nel samādhi senza oggetto è assente l’aggregato della forma o rūpa.

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