COS’ È LA VIPASSANĀ?
Riassunto del Dhamma talk del 10 dicembre 2024
Secondo il monaco birmano Ashin Thittila (1896-1997), “il termine Vipassanā è composto da ‘passanā’, vedere, e, ‘vi’, un prefisso che due significati: visesana e vividha. Visesana significa specialmente, non nella maniera convenzionale dove uno non riesce ad andare oltre le apparenze, oltre la superficie delle cose. Vividha significa differentemente, alla luce delle tre caratteristiche.”
COSA NON È VIPASSANĀ
• Vipassana NON è un tecnica di meditazione;
• Vipassanā NON è sinonimo di rilassamento;
• Vipassanā NON è la sola consapevolezza ordinaria;
• Vipassanā NON è psicanalisi;
• Vipassanā NON è autoanalisi;
• Vipassanā NON è non pensare;
•Vipassanā NON è sedere in silenzio senza essere disturbati;
• Vipassanā NON è osservare ma bensì vedere.
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Per Anālayo, “Il termine vipassanā significa “Visione profonda”. Penso che il punto importante da tenere presente sia che questa non è una tecnica. In realtà è una qualità. Questo è abbastanza diverso dalla comprensione che molti hanno oggigiorno. Quando diciamo “vipassanā”, spesso sentiamo dire che questa è una tecnica particolare, una particolare forma di meditazione da praticare. Ma in realtà, vipassanā è una qualità – la qualità della visione profonda.Quando osservo in profondità, ciò mi porta ad un crescente apprezzamento della vera natura della realtà: yathābhūta: vedere e conoscere le cose come realmente sono. Più vedo e conosco le cose per come sono realmente, più mi rendo conto che sono davvero impermanenti, incapaci di dare una soddisfazione duratura, e che non c’è un sé permanente – che tutto è condizionato, e che le Quattro Nobili Verità sono davvero un framework significativo per progredire verso la liberazione. La cosa fondamentale è la comprensione dell’impermanenza: sperimentare tutto come un processo, non come un’entità stabile. Più questo modo di sperimentare le cose nei termini di processi si radica in noi, più siamo in grado di lasciar andare la nostra infatuazione verso le cose, e di vedere cos’è dukkha (insoddisfacente), ciò che non è in grado di darci una soddisfazione duratura. È attraverso la visione di dukkha che la sete diminuisce, che l’attaccamento si affievolisce – e quando ciò accade, allora diminuisce anche il senso di identificazione con le cose – l’intero costrutto che costruisce le fondamenta del nostro senso dell’ego. Questo è un aspetto importante dell’insegnamento del non-sé.”
SAMATHA E VIPASSANĀ
La pratica del Buddhadharma mira a sviluppare due qualità complementari: quiete e visione profonda. Nello Yuganaddha Sutta (AN 4.170) è detto che questi due aspetti della meditazione possono essere combinati fra loro in tre modalità diverse: nella prima modalità, la coltivazione della quiete precede quella della visione profonda; nella seconda, è la visione a precedere la quiete; nella terza modalità, le due qualità vengono coltivate simultaneamente. Per Ajahn Chah, “Non si può separare samatha e vipassanā . Samatha è tranquillità, vipassanā è contemplazione. Per contemplare bisogna essere tranquilli, per essere tranquilli bisogna contemplare per conoscere la mente. Voler separarli sarebbe come afferrare un ceppo di legno nel mezzo e volere si sollevi solo un’estremità del ceppo. Entrambe le sue estremità devono necessariamente sollevarsi contemporaneamente. Non puoi separarli. Nella nostra pratica non è necessario parlare di samatha o vipassanā. Chiamatela semplicemente la pratica del Dhamma, è abbastanza”.
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Vipassanā è sinonimo di paññā, saggezza e di ñāna, conoscenza ; secondo Bhante Punnaji:
“la saggezza è comprendere il Dhamma correttamente, ovvero comprendere tre cose: anicca, dukkha, anattā.
1. Anicca: ogni cosa nel mondo va e viene, ogni cosa sorge e svanisce;
2. Dukkha: Ciò che accade nel mondo non va come noi vorremmo; i nostri desideri sono in conflitto con la realtà della vita; le cose sorgono per poi svanire; noi vorremmo che le cose (piacevoli) fossero permanenti, ma queste sono incostanti e non obbediscono alle nostre aspettative, è ciò ci rende infelici;
3. Anattā: In questo mondo nulla è realmente sotto il nostro potere, incluso il nostro corpo: nulla ci appartiene realmente; niente in questo mondo è realmente sotto il mio controllo; il corpo non è mio, la mente non è realmente mia. Non c’è nulla che possiamo definire realmente come ‘Mio’ in questo mondo. Comprendendo questi aspetti nella vita, possiamo abbandonare l’attaccamento, e questo produrrà la fine di ogni forma di sofferenza ed infelicità.”


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