Coscienza e Consapevolezza

ESISTE L’ AUTOCOSCIENZA?

Consapevolezza (sati) è un fattore mentale (cetasika) la cui funzione è di osservare gli altri stati mentali, salutari e non, nonché lo stato generale della mente principale stessa (viññāna, mano, citta). l’Abhidhamma Theravāda definisce sati come “sobhanasādhāraṇa cetasika”, “fattore mentale ordinario piacevole”, il quale accompagna l’atteggiamento mentale salutare (kusala citta); tuttavia l’Abhidharma dei Sarvastivāda include la consapevolezza nella categoria dei fattori mentali fondamentali (mahābhūmika). Il termine sati deriva da ‘sarati’, ‘ricordare’; quando si tratta di riportare all’attenzione della mente eventi accaduti nel passato si parla di ricordo, mentre se si sta prestando attenzione a qualcosa che sta accadendo nel momento presente parliamo di consapevolezza o attenzione al presente. Sati è consapevolezza di qualcosa a cui stiamo deliberatamente prestando attenzione.

CONSAPEVOLEZZA E COSCIENZA

In quanto costrutto mentale, la consapevolezza non è uno stato onnipresente ma si manifesta allorché suscitata e diretta verso un oggetto. Anche in assenza di consapevolezza, il processo della cognizione o coscienza (viññāna) è sempre attivo, anche durante il sonno; prova ne è il fatto che se stiamo dormendo e sentiamo un suono sufficientemente forte, ci svegliamo. Il termine pāli viññāṇa deriva dal verbo Vijānātī, vocabolo composto dal prefisso ‘Vi’, discernere o distinguere (lett. separare), e jānātī, conoscere.

In altre parole, viññāṇa è il processo della cognizione fenomenica soggettiva attraverso le facoltà sensoriali (vista, udita, olfatto, gusto, tatto e pensiero). La differenza fra coscienza e consapevolezza sta nel grado di valutazione dell’oggetto osservato: la coscienza è la presenza di un dato oggetto entro il campo dell’attenzione cosciente (c’è l’oggetto X, distinto dall’oggetto Y), mentre la consapevolezza produce una valutazione dell’ esperienza (So che nella coscienza è presente X). La coscienza produce il riconoscimento o appercezione (saññā) e la designazione concettuale (adhivacana) alla base del linguaggio (nirutti). Viññāna è un aspetto di ciò che definiamo mente principale, assieme a ‘mano’ (mente-razionale) e a ‘citta’ (mente-emotiva), mentre la consapevolezza è un fattore concomitante secondario*.

IL PROBLEMA DELL’ AUTOCOSCIENZA

Sulla base di testi come il Mahātaṇhāsaṅkhayasuttasutta, è lecito affermare che per il Buddha la coscienza mentale (Pāli: manoviññāṇa ) non è un ente autonomo, assimilabile all’anima delle religioni, ma un processo empirico; la coscienza mentale è il riconoscimento (sankhya) o apprendimento della presenza degli “oggetti mentali” ( dhammā, idee, attività cognitive, emozioni) entro il campo dell’ esperienza personale; viññāṇa è un processo impersonale, non un ente metafisico; è la cognizione, non un cognitore.

La concezione dualistica del rapporto fra la coscienza come soggetto e gli stati in quanto oggetto, un rapporto simile a quello fra un dittatore e un proprio sottoposto, è frutto di una lettura frettolosa e superficiale delle parole del Buddha. Non vi è alcuna coscienza a se stante che osservi arbitrariamente gli oggetti alla stregua di una persona che osserva un’opera d’arte appesa al muro di un museo. Questa dicotomia fittizia e illusoria è esattamente ciò che mette in moto il processo samsarico dell’ “Io e mio” culminante nel dukkha ( vedi Kaccayanagotta sutta e Bhaiya sutta). La coscienza è un processo interdipendente, non un incontro fra due enti distinti e autonomi, anche se così sembra apparire.

La coscienza non può prendere coscienza di se stessa proprio perché non è un oggetto; e tuttavia, come in gioco di specchi, il fattore mentale della consapevolezza è in grado di osservare il riconoscimento o apprendimento cosciente. Detto in altre parole, la coscienza mentale non può osservare la coscienza mentale, come l’occhio non vede se stesso, ma la consapevolezza può conoscere e riconoscere ciò di cui siamo coscienti.Questa pratica è nota come cittānupassanā, la “consapevolezza della mente”, il terzo dei quattro fondamenti della consapevolezza esposti nel Satipaṭṭhānasutta.

*Questi tre termini alle volte si sovrappongono assumendo un identico significato, altre volte vengono interpretati come aspetti consequenziali l’uno all’altro.

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