
Istruzioni pratiche tratte dal Vitakkasaṇṭhānasutta (Majjhima Nikaya 20)
Secondo gli insegnamenti buddhisti, vi sono tre tipi di liberazione (vimutti) :1 Liberazione momentanea (tadanga); 2. Liberazione indotta (vikkhambhana); 3. Liberazione tramite la recisione degli attaccamenti (samuccheda). Gli ultimi due tipi di liberazione e i metodi per realizzarli sono esposti nel Mahaniddesa, un commentario canonico incluso nella Raccolta dei Testi Brevi; secondo Buddhadāsa Bhikkhu, la liberazione temporanea (tadanga) è quella libertà interiore che si sperimenta naturalmente in assenza di fattori esterni in grado di suscitare il manifestarsi delle afflizioni. La liberazione indotta (vikkhambhana) è un tipo di libertà, anch’essa temporanea, prodotta attraverso la pratica di esercizi meditativi volti a svuotare la mente dalle oscurazioni stesse. Infine, la liberazione tramite la recisione (samuccheda) è il risultato dell’aver compreso in profondità la vera natura dei fenomeni.
I CINQUE METODI
Per quanto riguarda la liberazione indotta, nel Vitakkasaṇṭhānasutta il Buddha presenta cinque metodi per eliminare i pensieri intrusivi che potrebbero manifestarsi durante la meditazione samatha. I cinque metodi si basano sui seguenti cinque principi:
1. Sostituzione,
2. Riflessione,
3. Non-attenzione,
4. Acquietamento graduale,
5. Coercizione.
1. Sostituire. Il primo metodo consiste nello spostare il focus dell’ attenzione dal pensiero intrusivo malsano ad un oggetto mentale salutare; ad esempio, possiamo focalizzare l’attenzione sulla benevolenza (mettā) per distogliere l’attenzione dall’ avversione e malevolenza, oppure, meditare sulla repulsività (asubha) per combattere la lussuria.
“Se, portando l’attenzione ad un oggetto malsano, e a causa di ciò dovessero sorgere stati malsani, nocivi, connessi con il desiderio, l’avversione e l’ignoranza, allora si dovrebbe portare l’attenzione verso un oggetto salutare “.
2. Riflettere: Il secondo metodo prescrive di riflettere sugli svantaggi del rimanere invischiati in pensieri nocivi fonti di malessere:
“Se portando l’attenzione a un oggetto salutare, sorgessero ancora pensieri malsani, nocivi… si dovrebbe riflettere sulla dannosità di questi pensieri in questi termini: ‘Questi pensieri sono malsani, dannosi, causa di sofferenza’ “.
3. Non curanza: Il terzo metodo consiglia di ignorare, di non dare attenzione ai pensieri malsani. Privandoli della loro principale fonte di energia, — la nostra stessa attenzione — i pensieri subiranno un depotenziamento graduale:
“Se esaminando la dannosità insita in quei pensieri, sorgessero ancora pensieri nocivi…si dovrebbe distogliere l’attenzione da tali pensieri, non prestare loro attenzione”.
Impariamo a non dare eccessiva attenzione ai pensieri intrusivi contemplandoli, alla luce del Dharma, per quello che sono: stati passeggeri, effimeri, che non ci appartengono, vuoti di sostanza.
4. Acquietare: Il quarto metodo: pacificare gradualmente le formazioni mentali:
“Se, mentre si sta cercando di distogliere l’attenzione da quei pensieri, sorgessero ancora pensieri nocivi, non salutari… in quel caso, ci si dovrebbe impegnare ad acquietare gradualmente il processo che porta alla loro formazione: “Proprio come un uomo che, camminando velocemente, riflettesse: “Perché mai dovrei correre: e se ora camminassi più lentamente? E camminando lentamente, egli riflettesse: “Perché mai dovrei camminare: e se mi fermassi?” ‘E stando fermo in piedi egli riflettesse: “Perché mai dovrei stare in piedi; e se ora mi sedessi?”. ‘E stando seduto riflettesse: “Perché mai dovrei stare seduto; e se ora mi stendessi?” Allo stesso modo…ponendo l’attenzione al calmare il processo formativo di quei pensieri…la mente diverrà internamente stabile, quieta, univoca e raccolta”.
Lo strumento ideale per calmare le formazioni mentali è il respiro consapevole. Grazie alla stretta interdipendenza fra corpo e mente, agendo sul corpo fisico tramite il respiro, possiamo influenzare positivamente il flusso dei pensieri.
5. Coercizione
“Se, pur avendo provato ad acquietare il pensiero condizionante, sorgessero ancora pensieri nocivi, non salutari, connessi al desiderio, all’odio e all’ignoranza, egli, “a denti stretti”, con “la lingua premuta contro il palato”, (ovvero: risolutamente) dovrebbe abbattere, sopprimere ed eliminare quei pensieri nocivi tramite il pensiero salutare.”
Questo quinto metodo può essere interpretato in due modi: letteralmente e in senso astratto. Preso alla lettera, il sutta sembra fare riferimento a un antico esercizio Yoga, praticato anche da Siddhārtha prima di pervenire al risveglio, basato sul principio dello sforzo e rilassamento. Rilassando la tensione muscolare precedentemente indotta contraendo la mandibola e stringendo i denti, si induce un rilassamento a livello mentale. In senso astratto, si tratta di usare la forza di volontà per bloccare e interrompere il flusso dei pensieri malsani, che a questo punto è degenerato in ossessione; possiamo fare l’esempio di un auriga o esperto cavallerizzo il quale deve sapere come controllare il proprio cavallo imbizzarrito, usando, se necessario, le maniere forti, onde evitare di essere disarcionato, con gravi danni per se stesso e per lo stesso cavallo. Lo stesso discorso può essere fatto per un genitore costretto a usare le maniere forti nei confronti del proprio amato figlio o figlia in procinto di commettere un’azione potenzialmente pericolosa per la sua stessa incolumità.

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