Samsāra e Nirvāna

SU SAMSĀRA E NIRVĀNA

“There is no distinction whatsoever between samsāra and nirvāna; and there is no distinction whatsoever between nirvāna and samsāra.
The limit of nirvāna and the limit of samsāra: one cannot even find the slightest difference between them.”

(Nāgārjuna, Mūlamadhyamakakārikā, XXV, 19-20)

In questi versi del Mūlamadhyamakakārikā Nāgārjuna afferma che non c’è distinzione tra samsāra e nirvāna; il senso di questa affermazione è che sono entrambi vuoti di esistenza intrinseca; questa affermazione ha perfettamente senso dal punto di vista ontologico. Tuttavia, è necessario precisare dalla prospettiva epistemologica, sussistono delle importanti differenze fra samsāra e nirvāna: mentre il nirvāna è per definizione incondizionato, non nato e increato, il samsāra, è un fenomeno condizionato, soggetto a sorgere e a svanire.

I Mahāsānghika e i Sarvāstivāda asserivano l’esistenza di due tipi di nirodha (ovvero, nirvāna): pratisaṃkhyā-nirodha (cessazione realizzata) e apratisaṃkhyā-nirodha (cessazione non realizzata). Il primo è ottenuto eliminando le afflizioni; il secondo si riferisce alla realtà sottostante che si manifesta quando queste sono state completamente eliminate. Queste scuole riconoscono tre (o più) asamskrta: i due tipi di nirodha e lo spazio (ākāsa). Al contrario, il sistema Theravāda ne concepisce un solo, il nirvāna stesso.

Il XIV Dalai Lama, nel suo libro “La mente illuminata” (Sperling & Kupfer, 2007) elenca quattro aspetti del nirvāna:

“Che cos’è il nirvana? Quando diciamo che significa andare oltre o trascendere l’afflizione, in realtà intendiamo superare le cause della sofferenza, che sono le emozioni negative. Come abbiamo visto, tutti i fenomeni sono privi di esistenza intrinseca. L’ignoranza ci spinge a considerarli reali e questo è ciò che sta alla base del samsara e ci mantiene nel ciclo dell’esistenza. La base o il fondamento per la completa liberazione dal samsara è il nirvana naturale(1), ovvero la comprensione che tutti i fenomeni sono naturalmente privi di esistenza intrinseca. Possiamo quindi ottenere la completa liberazione dal ciclo delle esistenze, poiché la ragione per cui siamo intrappolati in esso è la nostra illusione sulla reale natura dei fenomeni. È quello “naturale” che rende possibili altri tipi di nirvana: il nirvana minore(2), di cui si parla come nirvana con resti, il nirvana senza resti (3), e il nirvana maggiore, non permanente (4), che permette di trascendere sia l’esistenza samsarica sia i limiti del nirvana minore”.

Secondo la nota esplicativa di Patrul Rimpoche, questa spiegazione si basa sul punto di vista della scuola Madhyamaka, la quale afferma l’esistenza di quattro tipi di Nirvāna: 1) Il nirvana naturale, cioè la natura vuota dei fenomeni, libera da ogni elaborazione concettuale. 2) Aparatiṣṭhita-nirvāṇa: Il nirvana non permanente; è il nirvana dei Buddha e dei Bodhisattva, al di là degli estremi dell’esistenza samsarica e della quiescenza. 3) Sopadhiśeṣanirvāṇa: nirvana con residuo, l’ottenimento di un arhat che ha trasceso la sofferenza ma non ha ancora abbandonato gli aggregati psicofisici e continua a sperimentare gli effetti del karma passato e 4) Nirupadhiśeṣanirvāṇa: nirvana senza residuo che si ottiene quando l’arhat abbandona gli aggregati ed entra nella cessazione definitiva. Tuttavia, la scuola Madhyamaka Prasanghika è l’unica a postulare l’esistenza del Nirvāna naturale.

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I nirvāna di tipo 2, 3 e 4, non sono delle mere costruzioni mentali né delle semplici designazioni (prajñaptisat); il nirvana è un’esperienza – designazione con un referente. La nostra coscienza percepisce lo stato naturale ( il nirvana di tipo 1) che non è stato percepito a causa della presenza delle oscurazioni. Per esempio, il fatto che una persona non si accorga del cobra che si nasconde nel buio della cantina non significa che il cobra non fosse già presente. Esso era già lì, a prescindere dal fatto che quella persona ne fosse cosciente o meno, tant’è vero che il cobra potrebbe attaccare e mordere in qualsiasi momento senza che egli se ne accorga.

Quindi, il nirvāna non è solo uno stato mentale; è l’esperienza soggettiva di una realtà naturale, per così dire. Questa realtà naturale è nota come tathātā (Talità). La tathātā caratterizza i fenomeni nel loro insieme. Sorprendentemente, il Theravāda (vedi il Libro delle Controversia o Kathāvatthu), non considera la tathātā come un non composto (asankhata); Per i theravāda esiste solo un non composto, ovvero, il nirvāna. Questo significa che per i primi theravadin come Mogallipiutta Tissa, nirvāna e talità erano due concetti differenti. Di fatto il Buddhismo Theravāda non sembra aver dato molta enfasi alla dottrina della tathātā, nonostante uno dei più noti epiteti con cui viene indicato il Buddha, Tathāgata, sia un chiaro riferimento ad essa. Al contrario, per gli Uttarāpathaka, la tathātā è un asankhata dhamma che non può essere identificato né con la mente né con il corpo, proprio come il nirvāna.

A tal proposito spiega il ven. Buddhadāsa : “tathātā è semplicemente il modo in cui le cose sono, la verità di tutte le cose: Quando si vede tathātā, si vedono le tre caratteristiche di anicca [impermanenza], dukkha [sofferenza] e anatta [non sé], si vede la sunnata [vuoto] e si vede idappaccayata [condizionalità specifica]. Tathātā è la sintesi di tutti: semplicemente così, solo così, la non-alternità”.

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