La Scuola Mahāsāṃghika

Le Diciotto Scuole del Buddhismo dei Nikaya

13. Mahāsāṃghika

La scuola Mahāsāṃghika (‘Quelli della Grande Assemblea’) ebbe origine nel quarto secolo avanti Cristo, in contrapposizione alla tendenza ortodossa prevalente in quell’epoca nella comunità monastica buddhista. La genesi e le successive evoluzioni di questa scuola rimangono a tutt’oggi incerte, tanto più che i testi appartenenti alle diverse tradizioni offrono resoconti molto differenti tra loro. Secondo il Cullavagga, (Vinaya II) del Canone ali, un secolo dopo il Primo Concilio di Rajagaha, un gruppo di monaci nativi della Repubblica dei Vajji ( Il primo stato repubblicano e democratico della storia) e residenti a Kosambi, tentò di introdurre alcune modifiche alle regole monastiche. Le dieci liberalizzazioni citate nella seconda sezione del Vinaya dei Theravāda e nel Mahavamsa sono:

1. La possibilità di conservare del sale per condire gli alimenti non saporiti;
2. Il mangiare fuori dal tempo prescritto, ovvero anche dopo mezzogiorno;
3. Andare nei villaggi ed accettare altro cibo dopo aver consumato il pasto principale;
4. Celebrare l’assemblea mensile (uposatha) in diverse sedi dello stesso distretto;
5. Prendere decisioni sull’amministrazione dell’ordine in assenza del numero legale;
6. Seguire l’esempio del proprio precettore/maestro anche in caso di comportamenti erronei o contrari al Dhamma e alla disciplina;
7. Bere latte non frullato;
8. Bere bevande alcoliche non fermentate;
9.Utilizzare stuoie per sedersi non rifinite da frange (senza orli);
10.Accettare oro e argento dai laici, cioè il denaro.

Questo tentativo di ammorbidire le regole monastiche suscitò le critiche di uno dei monaci anziani più venerati dell’epoca, Yasa Kākandakaputta, il quale per tutta risposta venne sanzionato dai monaci vajjia con l’espulsione dal sangha, reo, a loro dire, di essersi comportato in maniera non conforme alle regole disciplinari. Yasa lasciò allora Kosambī e, dopo aver convocato i monaci di Pāvā a ovest e di Avanti a sud, cercò il monaco Sambhūta Sānavāsi. Su suo consiglio, si rivolsero a Revata e insieme consultarono Sabbakāmi. Nel Concilio che seguì i dieci punti furono dichiarati non validi. Barua riassume così gli eventi che seguirono: «Il Dipavamsa approfondisce ulteriormente il racconto. I monaci Vajjia di Vaisali non accettarono la risoluzione del Concilio. Essi tennero un Concilio separato, chiamato Mahasamgiti, senza fare alcuna discriminazione tra arahant e non arahant. Considerato l’alto numero di presenze al Mahasamgiti, indicato in 10.000 monaci, sembra probabile che non sia stata fatta alcuna discriminazione. In questo Concilio, si suppone che i monaci Vaijii abbiano agito secondo i loro desideri. Essi alterarono  il contenuto dei sutra e del Vinaya nei cinque Nikaya, rimuovendone alcuni e interpolandone di nuovi. Si aggiunge che rifiutarono di accettare l’autenticità di testi come il Parivara, Patisambidamagga, Niddesa, alcuni Jataka e sei testi dell’Abhidhamma. Ma è difficile supporre che questi testi fossero stati realmente redatti a quell’epoca.»

Similmente, secondo il Mahāvaṃsa: «Quei monaci dissidenti, in tutto diecimila, che erano stati censurati dai Thera del secondo concilio fondarono la scuola detta Mahāsāṃghika; da questa ebbe origine la Gokulikā e l’Ekavyohārikā. Dai Gokulikā nacquero la Pannattivāda e la Bahulikā, e da questa la Cetiyavāda; con la Mahāsāṃghika in tutto sei scuole. Inoltre, dai Therāvdin (gli anziani) nacquero queste due scuole: quella dei monaci Mahīmśāsaka e quella dei Vajjiputtaka. Dai Vajjiputtaka nacquero i dhammuttariya, i Bhaddayānika, i Chandāgārika, e i Sammiti,. Dai monaci Mahīmśāsaka nacquero inoltre questi due: i Sabbatthavādin e i dhammaguttika; dai Sabbatthavādin nacquero i Kassapiya e da questi i Sankatika; dai Sankatika nacquero i Suttavādin. Insieme alla scuola Theravāda queste sono le dodici che, con le sei anzidette, fanno diciotto. Nei successivi cento anni sorsero altre diciassette scuole, ed altra ancora ne sorsero in seguito: La Hemavata, la Rājagirika, la Siddhatthaka, quella dei monaci Pubbaseliya, l’ Aparaseliya e la Vajiriya; queste sei limitatamente al Jambudipa (India). La Dhammaruci e la Sagaliya limitatamente all’isola di Lanka.»

La versione dei Sarvāstivāda

Tuttavia, secondo le fonti Sarvāstivāda, un trentina di anni dopo quel primo Concilio, (ovvero 136 anni dopo la morte del Buddha) i Mahāsāṃghika, tennero un loro concilio incentrato sulle cinque tesi di Mahādeva, una figura estremamente controversa di cui parleremo più avanti; in quel contesto, per la prima volta vennero messe in discussione le qualità dell’arahant. Le cinque tesi, in accordo ai testi Theravāda e Sarvāstivāda erano:

1. Un Arahant può essere soggetto a sogni erotici accompagnati da polluzioni notturne;
2. Un Arahant non è ha la piena conoscenza in riguardo ad argomenti non dharmici;
3. Un Arahant può essere soggetto al dubbio in riguardo a cose diverse dal Dharma;
4. Non è possibile ottenere la condizione di Arahant senza l’ausilio di un maestro esterno;
5. Un Arahant potrebbe intraprendere il nobile sentiero sulla base di stati d’animo negativi come la tristezza o la pena.

Secondo il Mahāvibhāṣā, (un testo dei Sarvāstivāda, oppositori dei Mahasanghika) , le cinque tesi non furono altro che un espediente elaborato dallo stesso Mahādeva, autoproclamatosi arahant, per giustificare le proprie mancanze agli occhi dei propri discepoli. Secondo questo testo, Mahādeva presentò le proprie tesi al monastero di Kukkuṭārāma, seduto sul seggio spettante al monaco più anziano. Tuttavia, i monaci presenti rigettarono le  tesi esposte da Mahādeva; si generò così un’aspra contesa fra quei monaci e i seguaci di Mahādeva, nella quale venne coinvolto persino il Re (probabilmente, si trattava di Kalaśoka); la contesa venne risolta con un referendum, in accordo alla giurisprudenza monastica. Dato il vasto sostegno di cui poteva godere, Mahādeva vinse il referendum e i monaci sconfitti abbandonarono Pāṭaliputta trasferendosi in Kashmir, dove fondarono la scuola Sarvāstivāda. Tuttavia, secondo Sujato, questa ricostruzione dei fatti sarebbe un’invenzione dei Sarvāstivāda stessi per giustificare il loro allontanamento dal Magadha, centro del potere politico della dinastia Maurya di cui Asoka fu l’esponente più noto. D’altro canto, nel Samayabhedo-paracana-cakkra, Vasumitra spiega così l’origine e le divisioni che incorsero all’interno dei Mahāsāṃghika:

«Questa è la tradizione che mi è stata tramandata di bocca in bocca: Erano trascorsi cento anni da quando il Venerabile Buddha entrò nel parinirvāna. Era un’epoca tutt’altro che santa, come se il sole fosse tramontato da molto tempo. A Kusumapura, nel regno di Magadha, il re Asoka regnava su Jambudvipa (India), sotto un ombrello bianco (simbolo della sua sovranità). Il suo dominio si estendeva agli dèi e agli esseri umani. Durante il suo regno il grande sangha buddhista si divise per la prima volta. Infatti, poiché le quattro comunità non erano d’accordo sull’interpretazione delle Cinque Proposizioni di Mahādeva, il sangha buddhista si divise in due scuole: i Mahāsāṃghika e gli Sthavira. Le quattro comunità erano: 1) la comunità Nāga, 2) la comunità dei barbari della regione di confine (Pratyantika), 3) la comunità dei dotti (Bahuśrutīya) e  4) la comunità dei venerabili (Sthavira). Le cinque proposizioni sono spiegate nel verso seguente: Gli [Arhat] sono tentati dagli altri. [Sono ancora nell’ignoranza. Dubitano ancora. Sono resi consapevoli della loro illuminazione da altri (cioè dai loro maestri). Il sentiero [nobile] si produce attraverso l’espressione vocale [della sofferenza]. Questo è il vero insegnamento del Buddha. In seguito, durante il secondo secolo [dopo il parinirvāna del Buddha], dai Mahāsāṃghika nacquero tre scuole: 1) gli Ekavyāvahārika, 2) i Lokottaravāda e 3) i Kukkuṭika.. Successivamente, nel corso del secondo secolo, un’altra scuola chiamata Bahuśrutīya, nacque dai Mahāsāṃghika. E sempre durante il secondo secolo, sorse un’altra scuola chiamata Prajñaptivāda, afferente ai Mahāsāṃghika. Alla fine del secondo secolo, nacque un monaco eretico il quale abbandonò la dottrina eretica e si convertì al Giusto Dharma. Anche lui si chiamava Mahādeva. Egli si unì ai Mahāsāṃghika e ricevette l’ordinazione finale (upasampada) in quello stesso ordine. Era colto (Bahuśruta) e diligente (vīrya). Dimorò sulla Montagna del Caitya (stupa), dove discusse ancora una volta in dettaglio le Cinque Proposizioni con i monaci della sua scuola. A seguito della controversia che ne seguì, la scuola Mahāsāṃghika si divise in tre: 1) i Caitika, 2) gli Aparaśaila e 3) gli Uttaraśaila. Ci furono quindi quattro o cinque scismi nella scuola Mahāsāṃghika La scuola originaria e i suoi scismi si sommano alle seguenti nove scuole: 1) i Mahāsāṃghika, 2) gli Ekavyāvahārika, 3) i Lokottaravāda, 4) i Kukkuṭika, 5) i Bahuśrutīya, 6) i Prajñaptivādin, 7) i Caitika, 8) gli Aparaaśaila, e 9) gli Uttaraśaila.»

Su Mahādeva

Quella di Mahādeva è una delle figure più enigmatiche e controverse della storia del Buddhismo. Secondo i testi Theravāda e Sarvāstivāda, egli si sarebbe macchiato di ben tre dei cinque crimini causa di perdizione immediata (ānantarika): Uccidere il proprio padre, la propria madre e un arahant; interessante notare che fra le accuse mosse contro di lui non vi sia quella di scisma (sanghabheda). Come evidenziato da Sujato,

«Mahādeva aveva commesso tre azioni ānantarika, che gli rendevano impossibile di essere ordinato come bhikkhu. Il testo è ben consapevole di questo, e per questo si preoccupa di far notare che il suo maestro di ordinazione non lo aveva interrogato attentamente, come è richiesto dal Vinaya. Pertanto la sua ordinazione non fu valida e non avrebbe potuto causare uno scisma».
Come abbiamo visto, il Samayabhedoparacana.cakra sostiene che vi furono di due monaci di nome Mahādeva: Il primo, l’autore delle cinque tesi, e un secondo nato nella regione di Andhra 200 anni dopo la morte del Buddha, anch’egli membro dei Mahāsāṃghika sostenitore delle cinque tesi, e istigatore, per dirla con Lamotte, di ulteriori scissioni. La storicità di questi due personaggi è altamente dibattuta, e non vi è un consenso unanime né tra i testi delle antiche scuole né tra gli studiosi moderni. Tutto ciò non fa che aumentare la confusione attorno ai Mahāsāṃghika e alla figura di Mahādeva.

Il trascendentalismo dei Mahāsāṃghika

Uno dei tratti caratteristici dei Mahāsāṃghika fu quello di ritenere il Buddha un entità trascendente, nel corpo, nella parola e ovviamente, nella mente. Per i Mahāsāṃghika, le vicende terrene del Buddha non furono altro che una proiezione concreta di un principio mistico eterno, un mezzo abile per veicolare il messaggio del Dharma. Per i Kukkuṭika, il Buddha utilizzò due linguaggi: uno convenzionale, con la quale egli discuteva di argomenti relativi alla vita quotidiana, e uno trascendente, legato alla trasmissione del Dharma. Sempre secondo questa scuole, egli era onnisciente, capace di apprendere qualunque fenomeno (sarva dharma) in un singolo istante di pensiero, nonché dotato di conoscenza della reale natura dei fenomeni appresi. L’idea di un doppio linguaggio fu alla base della teoria delle due verità — relativa e assoluta —  mentre la concezione trascendentalista del corpo del Buddha diede probabilmente l’incipit allo sviluppo della dottrina mahayanica sui tre corpi. (Trikaya).

Dottrine delle quattro scuole dei Mahāsāṃghika

Secondo il Samayabhedo-paracana-cakra, le proposizioni su cui Mahāsāṃghika, Ekavyavahārika, Lokottaravādin e Kukkuṭika concordarono originariamente sono:

1. Tutti gli onorevoli Buddha sono al di là di questo mondo (lokottara).

2. Tutti i Tathāgata non hanno elementi contaminanti (sāsrava).

3. Tutte le parole pronunciate dai Tathāgata fanno girare la ruota del Dharma (dharmacakra).

4. Il Buddha insegna tutti i dharma (Kumårajiva: tutti i dharma e tutte le caratteristiche) con un’unica espressione.

5. In ciò che l’Onorato dal Mondo (Bhagavat) ha predicato, non c’è nulla di falso (ayathārtha).

6. Il corpo materiale del Tathāgata è veramente illimitato (ananta).

7. Anche i suoi poteri soprannaturali (prabhāva) sono illimitati.

8. Anche la durata della vita (āyus) del Buddha è oltre ogni misura(apramāda).

9. Il cuore [compassionevole] del Buddha non si stanca mai di risvegliare la fede pura (Sraddhā) negli esseri viventi per convertirli.

10. Il Buddha non dorme né sogna mai.

11. Il Tathāgata risponde alle domande [direttamente] senza affidarsi alla riflessione.

12. Il Buddha non pronuncia mai parole, frasi e così via, perché dimora sempre nella contemplazione (samādhi). Ma gli esseri viventi si rallegrano, credendo che il Buddha [davvero] pronunci parole, frasi e così via. 13. Un istante della mente [del Buddha] contiene la conoscenza distinta di tutti i dharma.

14. [La sua] saggezza (prajñā), che sorge all’unisono con un istante della mente, comprende tutti i dharma.

15. Nei venerabili Buddha, la conoscenza della cessazione [delle passioni presenti] e la conoscenza della non nascita [delle passioni future] operano ininterrottamente finché non entrano nel nirvana finale.

16. Quando entrano nell’utero della madre, i bodhisattva non passano mai attraverso gli stadi embrionali di kalala (l’embrione subito dopo il concepimento), arbuda (il feto nella seconda metà del primo mese), pesa (“un grumo di carne”) o ghana (corpo solido).

17. Quando entrano nell’utero della madre, tutti i bodhisattva assumono la forma di un elefante bianco.

18. Tutti i bodhisattva lasciano l’utero della madre dal lato destro.

19. Nessun bodhisattva produce pensieri di desiderio, rabbia o violenza.

20. Per il benessere degli esseri viventi, il bodhisattva nasce in destini inferiori (durgati) grazie al potere dei suoi voti e rinasce lì a volontà.

21. Attraverso la conoscenza che segue (antikajñāna) la chiara comprensione istantanea (abhisamaya), si comprendono in modo esaustivo tutti i diversi aspetti (åkåra) delle quattro verità.

22. Il quintuplice gruppo di coscienze, la coscienza visiva e così via, può essere accompagnato dalla passione (rāga) ma anche libero dalla passione (virāga).

23. Il sestuplice gruppo di coscienze esiste nel regno della forma così come nel regno della non-forma.

24. Le cinque facoltà materiali sono [semplicemente] grumi di carne. L’occhio non vede le forme; l’orecchio non sente i suoni; il naso non sente gli odori; la lingua non assapora i sapori; il corpo non sente oggetti tattili.

25. Nello stato di concentrazione si possono pronunciare parole. In esso la mente è a volte disciplinata, e a volte inclinata verso la resistenza.

26. Chi ha realizzato ciò che deve essere realizzato è libero dall’attaccamento ai dharma.

27. La mente (citta) e le attività mentali (caitasika dharma) di chi entra nella corrente (srota-āpanna) sono consapevoli della loro stessa natura (svabhāva).

28. Anche gli Arhat possono essere tentati dagli altri. Hanno ancora ignoranza (ajñāna). Dubitano ancora. Sono resi consapevoli della loro illuminazione da altri. Il sentiero (mārga) è prodotto dall’espressione verbale [di sofferenza].

29. La sofferenza (du˙kha) può condurre al sentiero.

30. Dire “Oh, sofferenza!” può essere di aiuto [nella produzione del sentiero].

31. La saggezza (prajñā) è un mezzo per la cessazione della sofferenza e l’ottenimento della felicità (sukha).

32. La sofferenza è anche un cibo (āhāra).

33. Nell’ottavo stadio (il sentiero della visione), si può anche rimanere a lungo. Dalla [prima aspirazione all’illuminazione (bodhicitta)] in poi fino allo stadio finale del sentiero impuro rimane la possibilità di regressione [da ogni stadio].

34. Chi entra nella corrente è ancora soggetto a regressione, ma un arhat non lo è.

35. Non esiste né la retta visione mondana né la facoltà della fede mondana.

36. Non esiste alcun dharma moralmente indeterminato.

37. Si può dire che chi si è stabilito in una condotta perfetta abbia sradicato i legami.

38. Coloro che sono entrati nella corrente sono soggetti a commettere qualunque azione negativa eccetto i [cinque] atti a retribuzione immediata (ānantarya).

39. Tutti i sutra predicati dal Buddha hanno un significato esplicito.

40. Ci sono nove dharma incondizionati:

1) La cessazione ottenuta tramite cognizione discriminativa.

2) La cessazione dovuta all’assenza di una causa produttiva.

3) Lo spazio.

4) La sfera dello spazio illimitato.

5) La sfera della coscienza illimitata.

6) La sfera del vuoto.

7) La sfera né della né percezione né assenza di percezione.

8) La natura propria degli elementi dell’origine dipendente.

9) La natura propria degli elementi del nobile sentiero.

41. La natura propria della mente (cittasvabhāva) è originariamente pura. Ma quando si macchia della polvere avventizia delle contaminazioni, si dice che sia impura.

42. Gli stati latenti delle contaminazioni (anusaya, passioni dormienti) non sono né mente né attività mentali, e non hanno alcun oggetto (anālambana).

43. Gli stati latenti delle contaminazioni differiscono dalle contaminazioni manifeste (paryavasthāna) e viceversa, perché le prime non sorgono in unità con la mente, mentre le seconde sì.

44. Passato e futuro non hanno esistenza sostanziale (dravya).

45. I dharma (dharmāyatana) non sono conosciuti dalla conoscenza [mondana] (jñeya) né appresi da una coscienza [contaminata (sāsrava)] (vijñeya). Possono essere realizzati direttamente [solo dall’arhat che è entrato nel sentiero della visione].

46. Non esiste alcuno stato intermedio di esistenza (antarābhava).

47. Anche coloro che entrano nella corrente raggiungono stati di meditazione (dhyāna). Tali sono gli insegnamenti [originariamente] tenuti in comune [dalle quattro scuole dei Mahāsāṃghika].

Nel prossimo post parleremo delle sotto scuole dei Mahāsāṃghika.

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