La meditazione riflessiva

𝗦𝗨𝗟 𝗥𝗨𝗢𝗟𝗢 𝗗𝗘𝗟𝗟𝗔 𝗥𝗜𝗙𝗟𝗘𝗦𝗦𝗜𝗢𝗡𝗘 𝗡𝗘𝗟𝗟𝗔 𝗣𝗥𝗔𝗧𝗜𝗖𝗔 𝗕𝗨𝗗𝗗𝗛𝗜𝗦𝗧𝗔

In uno scritto sulla saggia riflessione (yoniso-manasikārā), Il ven. Phra Payutto afferma che essa costituisca l’anello di congiunzione tra la consapevolezza (sati) e la conoscenza (paññā).Tuttavia molto spesso si sente dire che meditare significhi semplicemente «osservare», «essere semplicemente consapevoli» del qui e ora, un fenomeno di per sé sfuggente e perciò problematico da definire. Come evidenziato dallo stesso Payutto, l’osservazione consapevole (anupassanā) gioca indubbiamente un ruolo fondamentale nella pratica meditativa buddhista, e tuttavia, studiando i testi canonici non si può fare a meno di notare che Gautama Buddha parlò a più riprese dei benefici della meditazione riflessiva; nei sutta vengono descritte una serie di importanti pratiche meditative incentrate sul rimembrare, (anussati o anussarati, AN6.25), il considerare (paṭisañcikkhati), il riflettere (paccavekkhati, MN61, AN5.54, AN6.60, AN10.60 ), il paragonare (upasaṁharati MN10), il porre l’attenzione (manasikaroti, UD1.1., MN20), il considerare saggiamente (paṭisaṅkhā yoniso, AN4.159), il pensare (maññati, SN22.59) e il riconoscere (pajānāti, MN10, DN2).

Come narrato nel Mahāsaccakasutta (Majjhima Nikāya 36), lo stesso Gautama, prima di pervenire al risveglio, si servì proficuamente del mezzo abile della saggia riflessione nel valutare i benefici e i limiti delle pratiche meditative apprese dopo aver abbandonato la casa paterna, e nel decidere di abbandonare quelle stesse pratiche per ricercare autonomamente la via della libertà; inoltre, il Bhaya-beravasutta (MN4) ci racconta di come il Bodhisatta, (Buddha to be) utilizzò la riflessione saggia per superare la paura della solitudine che lo assalì quando si recò a meditare da solo nella foresta.

Ancora, la descrizione classica degli stadi di meditazione mostra come anche nel primo e nel secondo jhāna siano presenti il pensiero applicato (vitakka) e il pensiero sostenuto (vicara). Infine, Il giusto pensiero (sammāsaṅkappa), figura fra gli elementi del nobile ottuplice sentiero; saṅkappa (dal causativo ‘kappeti’, modellare, dare forma, preparare) è pensare in una forma armoniosa (sammā) con la giusta comprensione delle tre caratteristiche universali, delle quattro nobili verità e della legge dell’interdipendenza. A tal proposito,l’Āsāduppajahavagga (AN 2.126) individua nella saggia riflessione, assieme all’ascolto degli insegnamenti, le due modalità per accedere alla giusta comprensione.

Tutto ciò dimostra come la meditazione non si limiti a un atteggiamento di osservazione passiva; al contrario, essa necessita di investigare attivamente l’esperienza. La conoscenza liberante non si paleserà agli occhi del meditante assorto in un nebuloso silenzio irriflessivo; essa dovrà essere invece attivamente ricercata, “masticata e digerita” con acume e prontezza di spirito degne del miglior Sherlock Holmes.

Su questo tema, il Ven. Bhikkhu Bodhi scrive: «Il progetto di auto-coltivazione, che il Buddha definì come un mezzo per la liberazione dalla sofferenza, richiede il mantenere un’osservazione critica sui movimenti della nostra mente, sia quando questi determinano azioni corporee e verbali sia quando rimangono interiormente assorbiti con le proprie preoccupazioni. Esercitare tale auto-scrutinio è un aspetto dell’attenzione (appamāda), che il Buddha affermò essere il sentiero per l’emancipazione.»

Per quanto concerne il rapporto fra riflessione, focalizzazione e contemplazione, Il Samaññaphalasutta (DN2) dimostra come la pratica meditativa di focalizzazione (jhāna) fosse intesa dal Buddha come un esercizio propedeutico alla conoscenza e comprensione di vipassanā, la quale è tutt’altro che osservazione passiva:

«Con la mente così raccolta, purificata e chiara, senza macchia, libera da impurità, agile, malleabile, salda e imperturbabile, egli la dirige e l’orienta verso la conoscenza della distruzione dei veleni interiori; ed egli comprende: ‘Questo è il dukkha, questa è l’origine del dukkha, questa è la cessazione del dukkha questo è il sentiero che conduce alla sua cessazione.»

In ultima analisi, possiamo dire che le diverse pratiche meditative, quelle basate sull’osservazione consapevole (sati), sulla focalizzazione (jhāna), sul rimembrare (anussarati) e sulla riflessione (paṭisañcikkhati ) siano complementari le une alle altre, parti di un sistema finalizzato alla comprensione e alla libertà.

(A cura di Davide Puglisi)

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