Le Scuole del Buddhismo Indiano: I Mahīmśāsaka

Le Diciotto Scuole del Buddhismo dei Nikaya

12. La scuola Mahīmśāsaka

La scuola Mahīmśāsaka (sanscrito: Mahīśāsaka) fu una delle scuole formatesi dallo Sthaviranikaya; secondo alcuni studiosi, essa sarebbe stata fondata niente di meno che dal monaco dissidente Purāṇa, il quale rifiutò di riconoscere come autentici i sutra e le regole dichiarati canonici dai monaci riunitisi in conclave durante il primo Concilio Buddhista di Rajagha sotto la guida di Mahakassapa. Il nome Mahīśāsaka deriva da Śaśaka, ‘maestro’,  ‘governatore’ ,  ‘Rettore delle genti’;  tuttavia, secondo  Baruah [1], il nome deriverebbe dalla città di Mahisamandal o Mahismati, l’odierna Maheswara, sulle rive del fiume Marmada,(Narmada) nello stato del Madhya Pradesh; per A.K. Warder, il luogo di origine fu  il paese di Mahisa [2]. Ritrovamenti archeologici attestano la presenza dei Mahīśāsaka a Nāgārjunakoṇḍā, in Andra Pradesh, nell’India del sud e a Taksasila, nell’odierno Pakistan.[3]

Secondo il Dīpavamsa, i Mahīśāsaka sarebbe nati da uno scisma con i Theravadin nel secondo secolo dopo la morte del Buddha; tuttavia, secondo il Samayabedho-paracana-cakra, essi avrebbero avuto origine dalla scuola Sarvastivada un secolo più tardi. Sempre secondo il testo di Vasumitra, dai Mahīśāsaka di sarebbero poi originati i Dharmaguptaka. A.K. Warder sostiene inoltre che la scuola Mahīśāsaka si diffuse a sud fino all’isola di Ceylon, dove venne poi riassorbita nel Theravāda singalese. Infine, secondo L. de la Vallee Poussin[4], dai Vibhajjhavadin, oppositori delle teorie dei Sarvastivadin, si originarono due sotto scuole: a Ceylon, quella degli Sthaviravadin (I proto Theravada), e in india quella dei Mahīmśāsaka. i Mahīśāsaka si distinguevano dal fatto di indossare vesti di colore blu.

L’unico testo di questa scuola sopravvissuto fino ai giorni nostri è una traduzione in cinese del Vinaya Pitaka incluso nel Canone Cinese (Taishō Tripiṭaka). Le informazioni sulle dottrine dei Mahīśāsaka provengono in larga misura dai resoconti di altre scuole, come il Dīpavamsa e il Samayabedhoparacanacakra. Sulla base di questi testi, si distinguono due periodi di evoluzione dei Mahīśāsaka, uno più antico, e uno successivo, con caratteristiche dottrinali vicine al Mahayana. Le principali tesi propugnate dai primi Mahīmśāsaka, elencate nel Samayabedhoparacanacakra sono:

1. Il passato e il futuro non esistono. Esistono il presente e l’incondizionato.

2. Esiste una chiara comprensione simultanea delle quattro nobili verità. Quando si realizza la verità della sofferenza, si possono realizzare tutte le [quattro] verità. Chi ha realizzato [le verità una volta nel sentiero della visione, può realizzarle [ancora e ancora nel sentiero della coltivazione] esattamente allo stesso modo.

3. Le afflizioni latenti (anusaya) non sono né mente né attività umane. Sono diversi dalle avversità reali e manifeste. La natura propria delle avversità latenti è la dissociazione dalla mente; la natura propria delle avversità manifeste è l’unità con la mente.

4. I mondani non possono sradicare il desiderio e la rabbia.

5. Nessun eretico può ottenere i cinque poteri soprannaturali.

6. Gli dèi non osservano il brahmacariya.

7. Non esiste alcuna esistenza intermedia.

8. Nell’arhat non c’è un’ulteriore crescita delle azioni meritorie.

9. Le cinque coscienze possono essere sia accompagnate dalla passione che sono libere dalla passione.

10. Le sei coscienze sono tutte accompagnate da attenzione (vitarka) e riflessione (vicāra).

11. Esiste anche un pudgala che è nato nello stadio più elevato [di non-ritornante] (anāgāmin).

12. Esiste la retta visione mondana, ma non la facoltà mondana della fede.

13. Non c’è né meditazione sovramondana (lokottara dhyāna) né attenzione pura (anåsravavitarka) [e riflessione (vicāra)].

14. Le buone [azioni] non sono causa di rinascita.

15. Chi entra nella corrente del risveglio può essere soggetto a regressione, ma gli arhat sono certamente incapaci di regredire.

16. le [otto] parti del nobile sentiero sono tutte incluse nelle [quattro] basi della consapevolezza.

17. Ci sono nove tipi di dharma incondizionati: 1) Cessazione ottenuta attraverso la cognizione discriminativa (2) Cessazione dovuta all’assenza di una causa produttiva. 3) Lo spazio. 4) L’immobile. 5) L’essenza dei buoni dharma. 6) L’essenza dei dharma cattivi. 7) L’essenza dei dharma [moralmente] indeterminati. 8) L’essenza dei membri del [nobile] sentiero. 9) L’essenza dei membri dell’origine dipendente.

18. La concezione è l’inizio, la morte è la fine. Tutti i grandi costituenti materiali degli organi di senso cambiano. Anche la mente e tutte le attività mentali cambiano.

19. Poiché il Buddha vive nel sangha, dare (dāna) al sangha procura una grande fruizione, ma [la grande fruizione non si ottiene] in particolare [attraverso] la donazione al Buddha.

20. Il [veicolo] del Buddha e gli [altri] due veicoli (yāna) sono un unico e medesimo sentiero che conduce a un’unica e medesima liberazione.

21. Viene insegnato che tutte le formazioni (samskāra) periscono all’istante.

22. Nessun dharma può trasmigrare da un’esistenza precedente a quella successiva. Questi sono gli insegnamenti che [questa scuola] aveva originariamente in comune.

Le dottrine sviluppate in seguito sulle quali i Mahīmśāsaka furono in disaccordo sono:

1. Il passato e il futuro esistono davvero.

2. Esiste anche lo stato intermedio dell’esistenza.

3. Tutti i dharma possono essere conosciuti e percepiti.

4. Tutte le azioni (karman) sono mentali (cetanā). Le azioni del corpo e della parola non esistono.

5. L’attenzione (vitarka) e la riflessione (vicāra) sorgono insieme.

6. La grande terra (mahābhumi) dura un kalpa (cioè un ciclo di tempo che comprende nascita, durata e distruzione del mondo).

7. L’atto di fare offerte a uno stupa non procura che uno scarso beneficio.

8. La natura propria delle avversità latenti è sempre presente.

9. Tutti gli aggregati, i campi di senso e gli elementi sono sempre presenti.

Per quanto riguarda la dottrina di questa scuola che si è sviluppata in seguito, sono sorte opinioni divergenti a causa di interpretazioni diverse del versetto seguente:

Cinque cose legano definitivamente.
Da queste nasce ogni sofferenza.
Esse sono: ignoranza, desiderio, passione,
le cinque [false] opinioni e le azioni.

Possibili legami fra Purana e i  Mahīmśāsaka

Come detto in precedenza, vi è una teoria secondo la quale la scuola Mahīmśāsaka si sarebbe originata dalla predicazione del monaco dissidente Purana, avversario di Mahakassapa durante il primo concilio; a questo proposito, scrive Barua:

«La storicità del primo concilio buddhista è stata una questione molto dibattuta tra gli studiosi. Oldenberg, seguito da Franke, ha messo in dubbio la sua storicità. Le loro obiezioni, tuttavia, sono state escluse da Jacobi. Di conseguenza, gli studiosi tendono a concordare sul fatto che un concilio ebbe luogo a Rajagrha subito dopo il Mahaparinirvana del Buddha, anche se le sue deliberazioni potrebbero non essere state così complete da includere la compilazione dei Sutta e dei Vinaya Pitaka nella loro interezza. Sembra, tuttavia, che gli anziani abbiano certamente cercato di recitare insieme l’intero Dhamma e il Vinaya alla prima occasione, in vista dell’ultimo pronunciamento del Buddha secondo cui il Dhamma e il Vinaya sarebbero stati d’ora in poi il loro maestro. Secondo il Cullavagga, il Concilio si tenne a Rajagrha nel secondo mese della stagione delle piogge. Mahakasyapa interrogò Upali sul Vinaya. È stato ipotizzato che, dai vari dettagli della recitazione del Vinaya, le domande riguardassero principalmente il Pratimoksa. inoltre, Ananda fu interrogato da Mahakasyapa sul Dhamma e in questo contesto furono recitati i cinque Nikaya del Suttapitaka. Il successivo svolgimento del primo concilio buddhista sembra essere permeato da note polemiche e tendenze dissenzienti. Quando Ananda informò i monaci dell’indicazione del Buddha secondo cui le regole minori della disciplina avrebbero potuto essere abolite dall’Ordine, ci fu un’accesa controversia su quali regole dovessero essere considerate minori. Questa controversia fu però risolta da Mahakasyapa, che propose di non stabilire nessuna regola sconosciuta e di non abrogare nessuna regola già conosciuta. Ci fu poi una divergenza tra i membri circa l’ammissione di Ananda al concilio. Un maggiore disaccordo sulle deliberazioni del concilio era ancora in serbo. Alla fine del Concilio, Mahakasyapa e altri cercarono l’approvazione di monaci anziani come Gavampati e Purana sui testi stabiliti al Concilio come Buddhavacana ( La Parola del Buddha). Gavampati preferì rimanere neutrale, il che viene interpretato come una sua esitazione ad accettare il canone recitato dai membri del Concilio. Purana, invece, rifiutò apertamente di accettare i testi recitati come parola del Buddha. Egli, invece, affermò di accettare come parola del Buddha ciò che egli stesso aveva sentito e appreso dalla bocca del Buddha medesimo. Questo dissenso da parte di Purana deve essersi ulteriormente aggravato in seguito alla sua insistenza affinché otto regole relative al cibo venissero incorporate nel Vinaya, cosa che tuttavia non avvenne. Come sottolineato da Przyluski e N. Dutt, queste regole non solo erano sostenute dal Vinaya dei Mahīmśāsaka, ma riconoscevano anche Purana come un illustre maestro del proprio tempo.»

D’altro canto, il Kathāvatthu ( Le Controversie) dei Therāvada, attribuisce le seguenti ai Mahīmśāsaka le seguenti proposizioni:

  1. Che il Nobile ( ottuplice ) sentiero sia in realtà quintuplice.
  2. Che vi sono due cessazione di dukkha ( ragionata e non ragionata).
  3. Che la transizione da un Jhāna all’altro sia immediata.
  4. Che gli elementi dell’Origine Dipendente siano in realtà incondizionati.
  5. Che lo spazio sia incondizionato.
  6. Che anche i gesti di accenno (fisico e verbale) siano ugualmente Karma.
  7. Che tre degli otto fattori del Nobile Ottuplice Sentiero non siano stati mentali ma atti materiali.
  8. Che le cinque facoltà spirituali non siano adatte per i laici.

    Bibliografia

1. Bhibhuti Baruah, Budhist Sects and Sectarianism, Sarup and Sons, New Delhi, 2002.

2. Indian Buddhism.

3. Toramana, chiamato anche Toramana Shahi Jauvla, regnante intorno al 493-515 d.C. , fu un re degli Unni Alchon che regnarono nell’India settentrionale tra la fine del V e l’inizio del VI secolo d.C. . Un’iscrizione rinvenuta a Kura, nella catena del sale, documenta la costruzione di un monastero buddhista da parte di una persona di nome Rotta Siddhavriddhi durante il regno del sovrano unno Toramana. Il donatore esprime il desiderio che il merito religioso acquisito con il suo dono sia condiviso con il re e i suoi familiari. Nell’iscrizione di Khurā (495-500, proveniente dal Salt Range nel Punjab e ora a Lahore), Toramana assume i titoli regnali indiani oltre a quelli dell’Asia centrale: Rājādhirāja Mahārāja Toramāṇa Shahi Jauvla.Tra cui Shahi è considerato il suo titolo e Jauvla un epiteto o Biruda. Si tratta di un testo buddhista in sanscrito ibrido, che documenta il dono di un monastero (vihāra) a membri della scuola Mahīśāsaka.
(Credit : Wikipedia)

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