
𝗞𝗔𝗥𝗠𝗔 𝗘 𝗗𝗜𝗩𝗘𝗡𝗜𝗥𝗘 (1/5) ![]()
«Per molte nascite ho vagato nel samsāra,
cercando il costruttore della casa, senza trovarlo.
Doloroso è nascere in continuazione.
O architetto! Sei stato visto. Tu non costruirai più alcuna casa.
Tutte le tue travi sono state spezzate, Il tuo pilastro è in frantumi.
La mia mente ha raggiunto l’incondizionato.
La fine del bramare è stata raggiunta.»
(Dhammapada, VV.153-154)
I. Introduzione
II. La rinascita nelle parole del Buddha
III. Criticità dell’interpretazione tradizionale
IV. Il Ridivenire come metafora dell’esistenza
V. Il Karma nelle parole del Buddha
𝗜. 𝗜𝗡𝗧𝗥𝗢𝗗𝗨𝗭𝗜𝗢𝗡𝗘
La dottrina della rinascita è uno degli aspetti più dibattuti nel panorama buddhista contemporaneo. Nell’odierna società secolarizzata, il solo parlare di rinascita suscita sovente reazioni che vanno dalla diffidenza al rifiuto, dallo scetticismo all’incredulità. Inoltre, il fatto che tradizioni diverse propongano interpretazioni divergenti fra loro rende l’analisi dell’argomento molto complessa. Occorre perciò riflettere sul ruolo di questo aspetto del sentiero buddhista, tenendo bene a mente quali siano gli scopi mondani e sovra mondani della pratica del Buddha-dhamma. Inoltre, nel discutere di karma e di rinascita, bisogna ricordare che per le vie del Dharma (Induismo, Giainismo, Buddhismo), la continua rinascita è vista come una maledizione da cui l’uomo deve emanciparsi attraverso l’ascesi e la disciplina spirituale (Dharma). Lo scopo della pratica è esattamente la liberazione (moksa) dal doloroso ciclo delle rinascite. Singolare è notare che per molti occidentali il pensiero di poter rinascere sia invece una sorta di consolazione dalla paura della morte.
𝗟’𝗢𝗿𝗶𝗴𝗶𝗻𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝘁𝗲𝗼𝗿𝗶𝗮 𝘀𝘂𝗹𝗹𝗮 𝗿𝗶𝗻𝗮𝘀𝗰𝗶𝘁𝗮
La credenza della rinascita era già diffusa nell’antica India prima dell’avvento del Buddhismo. Tutti i grandi studiosi contemporanei come Frauwallner, Gombrich, Obayasekere e Jayatillake concordano nell’affermare che i primi rudimenti di tale dottrina sono rintracciabili nelle Upanisad, in particolare nella Bṛhadāraṇyaka, Chāndogy and the Kaushitaki. Alla base di questa teoria vi è l’idea che qualcosa, che nel bramanesimo è conosciuta come atman o anima o jiva, trasmigri di vita in vita, sotto la spinta del karma, dell’ignoranza e dei desideri. Secondo alcuni studiosi, il Buddhismo avrebbe meramente cooptato le idee sulla rinascita dalle tradizioni preesistenti; tuttavia Jayatillake scrive:
«Se consideriamo il problema dal punto di vista storico, scopriamo che non ci sono motivi per ritenere che la credenza nella rinascita fosse universale o addirittura diffusa prima dell’avvento del Buddhismo. C’erano materialisti, scettici e coloro che credevano nella sopravvivenza senza aderire alla dottrina della rinascita. Queste teorie erano conosciute e criticate nei testi buddhisti e non c’è motivo di credere che le critiche alla teoria della rinascita da parte di materialisti, scettici e altri non fossero note ai buddhisti. L’élite sembra aver avuto un atteggiamento di apertura mentale sull’argomento e quando i buddhisti accettarono le teorie della rinascita e del karma, sembra che lo fecero sulla base del fatto che la loro verità era verificabile, anche se possiamo dubitare che questo tipo di verifica fosse sufficiente o adeguata per affermare la veridicità di queste teorie. Ma una cosa è certa: non abbiamo alcun motivo per affermare che il Buddhismo abbia dato per scontata l’accettazione dogmatica o acritica di queste dottrine da parte della tradizione prevalente. Il fatto che queste dottrine siano state accettate quasi universalmente nella tradizione indiana post-buddhista è dovuto in gran parte al fatto che i Giainisti e i Buddhisti, i critici più influenti della tradizione vedica ortodossa, le hanno accettate e che i Materialisti, che hanno subito il fuoco di tutte queste scuole di pensiero, sono gradualmente scomparsi dalla scena filosofica indiana. Ma il quadro che ci si presenta al momento dell’ascesa del Buddismo è alquanto diverso e sarebbe del tutto antistorico presumere che fosse lo stesso di quello che è stato in tempi successivi. […] I versi di gioia che si dice siano stati pronunciati dal Buddha al momento del conseguimento dell’illuminazione sottolineano il fatto di essere libero da “nascite ripetute” (jatipunappunam, Dh. 154). La concezione della salvezza è intimamente connessa nel Buddhismo con la credenza nella rinascita. È quindi parte integrante delle prime credenze buddhiste e gran parte del buddhismo non sarebbe comprensibile senza di essa. Ma questo non ci obbliga a pensare che la rinascita (e il karma) siano stati accettati acriticamente o dogmaticamente dalla tradizione religiosa precedente o prevalente. L’unica prova addotta da coloro che propongono o suggeriscono questo punto di vista è che la rinascita è quasi universalmente accettata nella tradizione religiosa indiana. Poiché anche il Buddhismo aderisce a questa visione, si sostiene che il Buddhismo abbia accettato dogmaticamente questa teoria dalla tradizione prevalente. Ne conseguirebbe che il Buddha stesso abbia violando l’ingiunzione che stava facendo, quando chiedeva alla gente di non accettare una dottrina solo perché si trovava in una tradizioni. Con tutto il rispetto per gli studiosi, vorremmo far notare che questa conclusione deriva sia da un’indagine antistorica sia da un’indagine acritica del materiale. Infatti, il fatto che una credenza si trovi in uno strato A e in uno strato B cronologicamente successivo non fornisce alcuna prova conclusiva del fatto che i pensatori dello strato B l’abbiano accettata in modo acritico e dogmatico dai pensatori dello strato A. In tal caso, ne conseguirebbe che anche un bravo scienziato accetta in modo acritico o dogmatico le teorie dei suoi predecessori con cui si trova in accordo, semplicemente sulla base di questo accordo! È falso affermare che la rinascita fosse universalmente accettata dalla tradizione religiosa indiana prima dell’avvento del Buddhismo. Non c’è traccia di una credenza nella rinascita nel Rgveda, dove troviamo solo sporadici riferimenti alla credenza in una vita dopo la morte. Anche l’Atharvaveda non fa riferimento a questa dottrina. I Brāhmaņa mostrano un maggiore interesse per la vita ultraterrena e si incontrano diversi punti di vista su questo argomento, ma non si trova alcun riferimento conclusivo alla rinascita. La nozione di «seconda morte» (punar mṛtyu) è gravida di possibilità di sviluppo dell’idea di rinascita e tutto ciò che si può dire è che «i Brahmaņa contengono gli spunti necessari per lo sviluppo della dottrina della rinascita».
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A queste splendide parole del Professor Jayatilleke, aggiungerei un’ulteriore considerazione: in relazione al problema dell’esaurimento del karma accumulato in passato, nel Cūḷadukkhakkhandhasutta (MN14), Il Buddha ironizza sugli atteggiamenti di un gruppo di asceti giainisti, impegnati in pratiche ascetiche finalizzate alla liberazione da un karma passato che gli stessi asceti in questione ammettono di non conoscere né di poter quantificare. [1] Da ciò ne deduciamo che benché la credenza nella rinascita fosse certamente diffusa ai tempi del Buddha, egli ne avesse una comprensione certamente differente rispetto ai dotti maestri di altre scuole.
𝗡𝗮𝘀𝗰𝗶𝘁𝗮, 𝗥𝗶𝗻𝗮𝘀𝗰𝗶𝘁𝗮, 𝗥𝗶𝗱𝗶𝘃𝗲𝗻𝗶𝗿𝗲
Uno degli assiomi più importanti del pensiero buddhista è che una simile entità autonoma sia dal corpo fisico che dalla mente semplicemente non esiste. L’idea di rinascita (punarjanma) presuppone che un ente, trasmigri da un corpo a un altro mantenendo una propria identità; per il Bramanesimo e il Giainismo, questa affermazione non presenta particolari elementi di contraddizione, in quanto entrambe le religioni accettano l’esistenza dell’anima imperitura. Tuttavia, il Buddha affermò che ogni cosa, incluso la coscienza, è un prodotto di cause e condizioni e come tale soggetto al mutamento. Per questa ragione, il Buddhismo non può accettare l’idea della rinascita di un’anima. Da questo punto di vista, l’uso del termine rinascita non rende giustizia alla visione buddhista originaria. È significativo che il termine usato nei sutta è punabbhava, ‘esistenza continuata’ ‘esistenza ripetuta’ o semplicemente ‘ridivenire’. Bhava (esistere o divenire a seconda del contesto)[2] e jāti (nascita), sono uno la condizione dell’altro:
«Essendoci bhava, vi è la nascita; bhava determina la nascita’ ( e non il contrario n.d.t.)».
(Gotama Sutta, SN 12.10)
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Nei sutta l’idea di nascita è intesa sia letteralmente che in senso allegorico, come vedremo più avanti. Inoltre, la nascita base di ogni sofferenza è da intendersi come il manifestarsi degli aggregati psicofisici, che la coscienza afflitta da ignoranza concepisce erroneamente come “Io”.
Nella seconda parte di questo post analizzeremo l’idea di ridivenire in accordo alle parole del Buddha.
NOTE
1. Jayatillake, K.N., Early Buddhist Theory of Knowledge.

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