Il mito dei Sette Buddha

Il mito dei sette Buddha nel Buddhismo Theravāda

Nei paesi buddhisti di tradizione Theravāda come lo Sri Lanka, in particolari occasioni viene celebrato un rito chiamato “L’ Omaggio ai Sette Buddha” (singalese: satbudu vandanawa); questo rito affonda le proprie radici nei miti e nelle pratiche rituali elaborate dalle prime comunità buddhiste indiane nei secoli successivi alla morte di Gautama Buddha.

Il culto dei Sette Buddha era già diffuso ai tempi dell’imperatore Asoka (III sec. a. Cristo); prova ne è un’incisione alla base di una colonna votiva, commissionata dallo stesso Asoka rinvenuta presso il sito di Nigali Sagar in Nepal.[1]

I sette Buddha, dei quali solo l’ultimo, Gautama, è una figura storica, vengono menzionati nel Mahāpadāna Sutta, quindicesimo sutta del Digha Nikāya. Secondo questo testo, il Buddha della nostra epoca Gautama sarebbe stato preceduto da sei Buddha passati: Vipassī, Sikhī, Vessabhū, Kakusandha, Koṇāgamana e Kassapa.

Un altro testo canonico, il Cakkavatti-Sīhanāda Sutta, (DN26), un testo con marcate tendenze apocalittiche, aggiunge alla lista un settimo Buddha: Metteyya, (Sanscrito: Maitreya). Secondo questo testo, Maitreya si manifesterà su questa terra quando gli insegnamenti dell’attuale Buddha saranno totalmente degenerati e impraticabili.

Inoltre, il Buddhavamsa, un testo anch’esso incluso nel canone Pāli, asserisce dell’esistenza di ben 28 Buddha passati. Altri esempi di una tale proliferazione di immagini buddhiche la troviamo presso le scuole del Mahāyāna, dove la devozione verso i Buddha archetipi, come Amithābha, (figura centrale nel Buddhismo cinese, giapponese e vietnamita) ha superato quella verso lo stesso fondatore storico.

La tendenza alla mitizzazione fu uno dei tratti distintivi della scuola Lokuttaravāda, la quale sosteneva la natura ultramondana del Buddha storico. Per i Lokuttaravādin (“i trascendentalisti”) l’esistenza terrena del Buddha non fu altro che una manifestazione concreta di un principio trascendentale atemporale e incorruttibile da eventi mondani come la malattia, l’invecchiamento e la morte. Il trascendentalismo dei Lokuttaravādin (una sotto scuola dei Mahāsanghika), attivi in Kashmir e Gāndhāra, esercitò una notevole influenza sui successivi movimenti gnostici del Buddhismo Mahāyāna, nonché sulla genesi dell’arte buddhista in quei territori e altrove. Il Buddha Amithābha (il signore dell’ovest) è probabilmente una rielaborazione buddhistica della figura del dio persiano Ahura Mazdā ideata proprio dai Lokuttaravādin o da scuole a loro affini.

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Ma quale significato riveste il culto dei Buddha archetipi, e qual è la morale che possiamo trarre da questo genere di racconti mitologici di cui i testi buddhisti abbondano? Secondo lo studioso di lingua e letteratura buddhista Pāli Richard Gombrich,

«Per il Buddhisti, il Dharma, la Verità, esiste eternamente; la Verità è vera, a prescindere dal fatto che la si riconosca come tale o meno [..] Il Dhamma è vero sia in presenza di un Buddha che in sua assenza[..]

L’importanza di un Buddha è la seguente: egli riscopre il Dharma per poi insegnarlo agli altri. Se osserviamo il Buddhismo da un’altra angolazione, noteremo che la maggior parte degli altri fondatori di religioni si autodefinirono come riformatori invece che innovatori [..] che essi stavano reintroducendo l’autentica antica dottrina che nel corso dei tempi era stata corrotta o persa [..]

Il Buddha prese su di sé la piena responsabilità del suo messaggio, senza mai affermare di aver ricevuto tale messaggio da un’autorità superiore; da questo punto di vista, seguì lo stesso percorso degli altri maestri religiosi indiani del suo tempo; tuttavia egli si differenziò da questi per via dell’impossibilità nel far riconoscere la propria autorità in relazione ad un lungo lignaggio di maestri[..] Perciò il riconoscimento del Buddha come maestro religioso non poté che essere mitologica; ed è qui che ritroviamo la Raison d’être della dottrina dei Buddha passati. La Dottrina dei Buddha passati ha la sua origine nei sutta del Dīghanikāya; in questa raccolta di testi è contenuta la dottrina secondo la quale l’universo non può aver un inizio, in quanto nulla può nascere senza una causa[..] Tale cosmologia permette al lignaggio dei Buddha di estendersi all’infinito, nel passato e nel futuro..»[2]

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In base a questa dotta spiegazione, possiamo intendere il culto associato ai Buddha archetipi come un ennesimo esempio della destrezza del Buddha storico stesso nell’utilizzo di mezzi abili (upaya) per fini prettamente pratici: combattere il pericoloso nichilismo etico tipico delle dottrine materialiste, promuovendo la giusta visione circa la responsabilità individuale degli atti eticamente sensibili (karma).

Note

1. “His Majesty King Priyadarsin in the 14th year of his reign enlarged for the second time the stupa of the Buddha Kanakamuni and in the 20th year of his reign, having come in person, paid reverence and set up a stone pillar.”

2.Gombrich, Richard, The Signicance of Former Buddhas in the Theravada Buddhism, BUDDHIST STUDIES IN HONOR OF WALPOLA RAHULA

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