Buddha e Dio: il Creazionismo nel Buddhismo delle Origini

Buddha e Dio: il creazionismo nel Buddhismo delle Origini
Versione riveduta e aggiornata del 13 / 08/ 2023

«Non cercare lontano da qui! l’esistenza più elevata, quale guadagno può dare? Qui in questi aggregati del presente, nel tuo stesso corpo, trascendi il mondo!»                                           

(Cūla Sakuludāyi Sutta, Majjhima Nikāya 79)

Introduzione

Cosa pensava il Buddha dell’idea secondo la quale il mondo fu creato da un Dio onnipotente da cui tutto dipende? Il Buddhismo non contempla l’esistenza di un’entità quale il Dio creatore origine di ogni cosa delle religioni monoteiste. La via del Dharma non ha a che vedere la confutazione di teorie filosofiche o religiose, ma con il problema della sofferenza esistenziale e della possibilità di porvi fine. Di fatto non è necessario cambiare religione o stile di vita per praticare il Dharma e ottenere i relativi benefici. Praticando, i benefici si manifesteranno comunque, che si abbia fiducia nel Buddha e nel suo insegnamento o meno; al contrario, senza mettere in pratica l’insegnamento ricevuto, non vi sarà alcun beneficio, anche se desiderato. Vediamo ora quale fossero le idee di Gautama in merito alle questioni di carattere teologico.

Definizione di creazionismo

Il creazionismo, secondo la definizione datane dalla Treccani è «Una concezione filosofica o religiosa che attribuisce l’origine del mondo a un libero atto creativo compiuto da Dio. In particolare, dottrina teologica cristiana che ritiene le anime create direttamente da Dio, una per ogni uomo (si opponeva al traducianesimo, ossia alla concezione, sostenuta anche da Tertulliano, secondo cui l’anima era trasmessa dai genitori come il corpo). In una prospettiva scientifica, il c. è la dottrina che nega l’evoluzione delle specie viventi (→ Darwin, C.R.), sostenendo che esse sono state create da Dio così come sono e tali sono rimaste attraverso i secoli.»

La concezione creazionista dell’Universo era certamente diffusa anche nell’antica India; e tuttavia, dai resoconti scritti sappiamo che il Buddha rigettò una tale concezione del mondo; e bene precisare però che l’insegnamento del Buddha non mira alla confutazione, sul piano ontologico, dell’esistenza del Dio creatore, ma alla realizzazione dell’emancipazione dalla sofferenza dell’esistenza ciclica condizionata (saṃsāra).

Per il Buddhismo, ogni cosa ha origine da un complesso intreccio di cause e condizioni, senza alcun ‘attore’ che diriga a proprio piacimento il processo creativo. In merito all’origine dell’esistenza ciclica, il Buddha affermò: «l’origine del saṃsāra è sconosciuta, e il suo inizio non può essere compreso dagli esseri che vagano e rifluiscono, ostacolati dall’ignoranza e legati dalla sete.»

(Dhītusutta, Samyutta Nikaya  15.19)

Per quanto concerne l’origine dell’universo, in un noto passo dell’Aggaññasutta (Digha Nikāya 27) si afferma che esso è soggetto ad un lungo periodo di contrazione a cui segue un periodo altrettanto lungo di espansione:

«Vi è un tempo in cui, dopo un lungo periodo questo universo si contrae … vi è un tempo in cui, dopo un lungo periodo, questo universo si espande..».

Similmente, nel Kappasutta (Anguttara Nikāya 4.156) è scritto che un eone (kappa) è caratterizzato da quattro momenti virtualmente incalcolabili:

1.Involuzione (kappo saṁvaṭṭati),

2.Stasi dell’involuzione (kappo saṁvaṭṭo tiṭṭhati),

3.Evoluzione (kappo vivaṭṭati),

4.Stasi dell’evoluzione (kappo vivaṭṭo tiṭṭhati).

Critica del creazionismo

Queste affermazioni, che ovviamente si basano sulle conoscenze in ambito cosmologico diffuse nell’India del sesto secolo a.C. , sembrano indicare che il Buddha avesse una visione evoluzionistica dell’universo difficilmente conciliabile con il creazionismo.

Dalla prospettiva del Buddha, benché come esseri umani non siamo ancora in grado di riconoscere le cause prime dell’universo, possiamo certamente discernere le cause del nostro peregrinare il questo circolo vizioso colmo di esperienze dolorose e angoscianti che è il saṃsāra e porvi fine.

La pratica del Dharma ha due funzioni fondamentali: rendere le persone consapevoli del problema del dukkha e della sua origine e offrire una soluzione a tale problema, un sistema integrato di pratica finalizzato alla liberazione dalla sofferenza. La genesi di cui parlò il Buddha riguarda perciò il processo di origine dipendente del dukkha (paṭiccasamuppāda).

Di seguito, alcuni estratti dai discorsi del Canone Pāli utili a capire la posizione del Buddha storico in merito alla questione del creazionismo:

«Se Egli è davvero il Signore del Mondo intero, conosciuto come il Divino, Signore delle moltitudini di esseri, perché impone disgrazia sul mondo intero, perché non crea felicità per il mondo intero?»

«Se Egli è davvero il Signore del Mondo intero, conosciuto come il Divino, Signore delle moltitudini di esseri, Perché ha creato un mondo così ingiusto, dove prevalgono l’inganno, la menzogna e l’ignoranza?»

«Se Egli è davvero il Signore del mondo intero, conosciuto come il Divino, signore delle moltitudini di esseri, allora caro Aritta, il Signore degli esseri è un individuo ingiusto, che consapevole del giusto impone ciò che è ingiusto!»

(Bhūridatta Jātaka)

«Se esiste un Dio onnipotente da soddisfare, ed in ogni creatura gioia e dolori ed azioni positive e negative, tale Signore sarebbe macchiato col peccato, (In quanto) l’uomo compie solamente la sua (del Signore) volontà.»

(Mahābodhi Jātaka)

Dialogando con un giovane bramino di nome Vasettha sul tema della fede in un Dio creatore (Brahma), il Buddha disse:

«Così, Vasettha, tu affermi che la via per l’unione con Brahmā è stata insegnata dal brahmano Pokkharasati, mentre Bharadvaja dice che è stata insegnata dal brahmano Tarukkha. Qual è la disputa, la controversia, la diversità in tutto questo?»

«I retti e falsi sentieri, Venerabile Gotama. Vi sono così tanti brahmani che insegnano differenti sentieri: i brahmani Addhariya, Tittiriya, Chandoka, CVhandava, Brahmacariya – tutti questi sentieri conducono all’unione con Brahmā? Come se ci fossero tante strade in un villaggio o in una città che conducono ad un solo luogo. Allo stesso modo le vie dei vari brahmani … conducono all’unione con Brahmā?»

«Retti sentieri, Vasettha?»

«Sì, venerabile Gotama.»

«Ma, Vasettha, vi è allora un solo brahmano fra questi esperto nei Tre Veda che abbia visto Brahmā da vicino?» 

«No, venerabile Gotama.»

«Allora il maestro dei maestri di qualcuno di loro ha visto Brahmā da vicino?»

«No,venerabile Gotama.»

«Allora qualche loro antenato fino alla settima generazione ha visto Brahma da vicino?»

«No, venerabile Gotama.»

«Bene, Vasettha, quegli antichi saggi dei brahmani esperti nei Tre Veda, autori di versi, commentatori di versi, i cui versi sono ancora oggi recitati, cantati e composti da brahmani, come Atthaka, Vamaka, Vamadeva, Vessamitta, Yamataggi, Angirasa, Bharadvaja, Vasettha, Kassapa, Bhagu, i quali dicono: “Sappiamo e vediamo quando, come e dove appare Brahmā?»

«No, venerabile Gotama.»

«Allora, Vasettha, nessuno di questi brahmani esperti nei Tre Veda hanno visto Brahmā da vicino, né uno dei loro maestri, né maestri dei maestri, né qualche antenato dei loro maestri fino alla settima generazione; né odierni saggi possono dire: «Sappiamo e vediamo quando, come e dove appare Brahmā.» Così ciò che dicono questi brahmani esperti nei Tre Veda è: «Insegniamo questo sentiero che conduce all’unione con Brahmā che né conosciamo né vediamo, questo è l’unico retto sentiero … che conduce all’unione con Brahmā.» Stando così le cose, quei discorsi dei Brahmani esperti nei Tre Veda non sono forse infondati?»

«Sì, venerabile Gotama.»

«In verità, Vasettha, quei brahmani esperti nei tre Veda dovrebbero essere capaci di mostrare la via ad un’unione con ciò che non conoscono né hanno mai visto! Sono come una fila di ciechi che si aggrappano l’un l’altro, dove nessuno vede niente dal primo all’ultimo; così questi brahmani esperti nei Tre Veda, dove il primo non vede nulla, così quello che sta in mezzo, così anche l’ultimo della fila. I discorsi di questi brahmani sono ridicoli, parole vuote e vane.»

«Cosa pensi, Vasettha? Questi brahmani esperti nei Tre Veda possono vedere il sole e la luna come le altre persone comuni, e a mani giunte pregano, venerano ed adorano il sole e la luna quando sorgono?»

«Sì, venerabile Gotama.»

«Cosa pensi, Vasettha? Questi brahmani esperti nei Tre Veda, che possono vedere il sole e la luna come le altre persone comuni … sono capaci di indicare la via all’unione con il sole e la luna dicendo: “Questo è l’unico retto sentiero … che conduce all’unione con il sole e la luna?»

«No, venerabile Gotama.»

«Quindi, Vasettha, tu affermi che i brahmani non sono capaci di indicare la via verso l’unione con ciò che hanno visto, ed inoltre dici che nessuno di loro, né i loro discepoli, né i loro antenati fino alla settima generazione non hanno mai visto Brahmā, e dici inoltre che anche gli antichi saggi, le cui parole sono profondamente rispettate, non sanno dove, come e quando appare Brahmā. Quindi ciò che dichiarano questi brahmani risulta infondato?»

«Sì, venerabile Gotama.»

«Molto bene, Vasettha. In realtà quei brahmani esperti nei Tre Veda dovrebbero essere capaci di mostrare la via ad un’unione con ciò che non conoscono né hanno mai visto! Proprio come se un uomo dicesse: «Quanto desidero, quanto amo la donna più bella del mondo!» E la gente gli chiedesse: «Bene, caro amico, questa bellissima donna, che tu tanto ami e desideri, sai se è di nobile famiglia o una Brahmana, o di umili origini?»

E lui: «No.»

Di nuovo la gente gli chiedesse: «Bene, caro amico, questa donna più bella del mondo, che tu tanti ami e tanto desideri, sai il suo nome, o il nome di famiglia, se è alta, bassa o di media statura, se è nera, bruna o bianca di carnagione, o in quale città, villaggio o paese vive?» E lui: «No.» E la gente: «Allora, caro amico, non conosci né hai mai visto questa donna che tu tanto ami e tanto desideri?»

E lui: «Sì.»

Ora cosa pensi, Vasettha? Stando così le cose le parole di quell’uomo risultano sciocche?»

«In verità, Gotama, sì. Le parole di quell’uomo sono sciocche!»

(Tevijjā Sutta, Digha Nikāya 13)

Da un discorso sul fatalismo tenuto ad un gruppo di monaci si evince la ragione per la quale il Buddha rifiutava la concezione teistica del mondo e della vita:

«A quei bramani ed asceti che professano che tutto è causato da un essere supremo, da un creatore io dissi loro: ‘È vero che professate che tutto è causato da un essere supremo, da un creatore? Loro ammisero: ‘Sì.’ Poi io dissi loro, ‘Allora in quel caso, una persona toglie la vita ad altri esseri viventi a causa di un essere supremo, di un creatore. Una persona è ladra … impudica … bugiarda … usa parole che dividono … usa parole aspre … avida … malevola … crede in teorie sbagliate a causa di un essere supremo, di un creatore.’ Quando uno crede che tutto dipende da un essere supremo, monaci, non c’è desiderio, né sforzo [al pensiero], ‘Questo dovrebbe essere fatto. Questo non dovrebbe essere fatto.’ Quando uno non comprende la verità o la realtà di ciò che deve e non deve essere fatto, è sconcertato ed indifeso. Uno non può rettamente definirsi un asceta. Questa fu la mia seconda confutazione retta a quei bramani ed asceti che professano tali insegnamenti, tali teorie.»

(Anguttara Nikāya 3.61)

Né Dio né Io

Il Buddha perciò rigettò tutte le teorie su un Dio creatore (issara) e su un sé o io (atta) permanente, sostanziale e autonomo ad esso collegato e dipendente come idee erronee causa di confusione e conflitto; al contrario, la presa di coscienza di tali idee errate possiede un potere liberante che deriva dall’aver armonizzato la propria percezione soggettiva con a realtà oggettiva:

«Qualunque cosa composita,
Ovunque si ottenga l’esistere,
Tutto ciò non ha alcun Signore (issara):
così fu detto dal Grande Saggio.

Chi comprende tale realtà,
come insegnata dal Buddha;
non afferra esistenza alcuna,
Come [non afferrerebbe] una palla di ferro rovente.

Non vi è in me un ‘Io fui’,
ne vi è un ‘io sarò’;
i condizionanti si dissolveranno,
perciò, perché affliggersi?

Vedendo secondo realtà,
il puro sorgere dei fenomeni,
la pura continuità dei condizionanti,
Non vi è paura;


Quando egli saggiamente considera
il mondo alla stregua di fili d’erba,
non trovando alcun ‘me’,
‘non esiste alcun me’ –egli non si rattrista.»

16.1. Adhimuttattheragāthā, Kuddaka Nikāya

Una teogonia buddhista: il mito del primato di Brahmā

Il creazionismo è la quinta delle sessantadue teorie erronee esposte nel Brahmajāla Sūtta, il Discorso sulla rete di Brahmā o rete delle teorie:

«Vi sono, monaci, alcuni asceti e bramani che in parte sono eternalisti ed in parte sono Non eternalisti, i quali affermano che il sé ed il mondo sono in parte eterni ed in parte no in quattro modi. Su quali basi?” Viene un tempo, monaci, prima o dopo un lungo periodo, in cui questo mondo si contrae. Al momento della contrazione, gli esseri per la maggior parte rinascono nell’Abhassara, il mondo di Brahmā. E là loro dimorano, fatti di mente, cibandosi di piacere, raggianti di propria luce, muovendosi nell’aria, pieni di gloria – e lì vivono per un tempo molto lungo.

Poi il viene tempo, prima o dopo un lungo periodo, in cui questo mondo si espande. In questo mondo che si espande appare un palazzo vuoto di Brahma. Quindi un essere, alla fine della sua lunga vita o dei suoi meriti, trapassa dal mondo di Abhassara e rinasce nel palazzo vuoto di Brahmā. E là dimora, fatto di mente, cibandosi di piacere, raggiante di propria luce, muovendosi nell’aria, pieno di gloria – e lì vive per un tempo molto lungo.

Poi in questo essere che è stato da solo così a lungo nasce agitazione, sconforto e preoccupazione, e pensa: ‘Oh, se solamente altri esseri venissero qui! ‘ E gli altri esseri, alla fine della loro lunga vita o dei loro meriti, trapassano dal mondo di Abhassara e rinascono nel palazzo di Brahmā a tenere compagnia a questo essere. E là loro dimorano, (……) e vivono per un tempo molto lungo.

Quindi, monaci, quell’essere che per primo era rinato in quella esistenza pensa: «Io sono Brahmā, il Grande Brahmā, il Conquistatore, l’Invitto, l’Onniveggente, il Potentissimo, il Dio, il Creatore, il Padre di Tutti Coloro che sono Stati e che Saranno. Questi esseri da me sono stati creati. Perché? Perché a me per primo venne il pensiero: ‘Oh, se solamente altri esseri venissero qui!’ E questo mio desiderio fu esaudito, così questi esseri rinacquero in questa esistenza!» Mentre gli esseri che sono rinati dopo pensano: «Costui, amici, è Brahmā, il Grande Brahmā, il Conquistatore, l’Invitto, l’Onniveggente, il Potentissimo, il Dio, il Creatore, il Padre di tutti coloro che sono stati e che saranno. Perché? Perché da lui siamo stati creati e siamo rinati dopo di lui in questa esistenza.»

E questo essere che prima era rinato e vissuto più a lungo, era più affascinante e potente degli altri. Ora può accadere che un altro essere trapassi da un reame e rinasca in questo mondo. Rinato in questo mondo, lascia la vita di famiglia per l’ascetismo. Avendo intrapreso la vita ascetica, mediante un ardente sforzo, l’applicazione, la vigile e retta attenzione raggiunge un tale stato di concentrazione mentale tanto da ricordare la sua ultima esistenza, ma non altre. E pensa: «Quel Brahmā, egli ci ha creato, egli è permanente, immortale, eterno, non soggetto al cambiamento, il sempre perenne. Mentre noi, che da quel Brahmā siamo stati creati, siamo caduchi, mortali, perituri, destinati a morire, perciò siamo rinati in questo mondo.» Questo è il primo caso in cui alcuni asceti e bramani sono in parte Eternalisti ed in parte non eternalisti.»

( Digha Nikāya 1)

La via buddhista per il divino

Perciò, in base ai resoconti scritti sopracitati risulta evidente che la figura di un Dio creatore e onnipotente non faccia parte della visione del Buddha. Tuttavia, come spesso accadde, egli riformulò l’idea di Brahmā in chiave impersonale, metaforica, attraverso un’abile uso della fraseologia vedica, come nei seguente passaggi:

«Si coltivi un cuore amorevole senza limiti verso il mondo intero, verso l’alto, il basso e trasversalmente, senza limiti, privo di odio e risentimento; stando fermi, camminando, sedendo, sdraiandosi, fintantoché si è nello stato di veglia, si contempli questa consapevolezza.
Ciò è detto il dimorare divinamente nel presente.»

(Karanīyametta sutta, Sn 1)

«Madre padre, compassionevoli versi i membri della propria famiglia, sono chiamati Brahmā;
Primi insegnanti, degni di doni da parte dei propri figli;
Quindi il saggio renda loro omaggio, con cibo e bevande…
Svolgendo questi servizi verso i propri genitori,
i saggi sono elogiati nel presente e dopo la morte rallegrati in cielo.»

(Itivuttaka, 106)

Il sentiero buddhista non è tuttavia finalizzato meramente all’unione con un Dio al di fuori di sé ma bensì alla realizzazione del divino (Brahmapatti) dentro di sé, come sottolineato in questi versi tratti dal Lohicca Sutta (Saṃyutta Nikāya, 35. 132):

«Una mente ben raccolta, chiara e libera da impurità,
Benevola verso tutti gli esseri senzienti:
Questo è il sentiero per ottenere [lo stato di] Brahmā.»

Questa esortazione da parte di Mahākaccāna fu talmente innovativa e rivoluzionaria da suscitare sconcerto e indignazione nei bramini ai quali tale discorso era rivolto! Tuttavia, è bene precisare che questo genere di insegnamenti erano rivolti a persone che non si consideravano seguaci del Dharma buddhista; d’altro canto, Il Buddha non riteneva questo tipo di pratiche appropriate per i suoi seguaci, specialmente per i monaci, il cui obiettivo era invece la liberazione dal Samsara:

«Monaci, se asceti di altre scuole vi domandassero: ‘Amici, conducete voi la vita spirituale sotto la guida dell’asceta Gotama per ottenere una rinascita nel reame divino?’, in tal caso, non sareste voi inorriditi, contrariati e disgustati?»

«Certo, Signore».

«Così, Monaci, dal momento che vi sentite inorriditi, contrariati e disgustati dall’esistenza divina, da bellezza, felicità, gloria e autorità divine, a maggior ragione dovreste essere inorriditi, contrariati e disgustati da una condotta fisica, verbale e mentale malsana».

(Devalokasutta, Anguttara Nikāya 3.18)

Il Buddha arrivò perfino a redarguire Sāriputta, uno dei suoi principali discepoli, per non aver esposto il sentiero della liberazione per intero ad un devoto bramino in punto di morte: 

Quindi il venerabile Sāriputta pensò: ‘Questi brāhmani sono inclini al mondo di Brahmā. E se io ora mostrassi al bramino Dhanañjani la via che porta a Brahmā?’ E disse: «Io ti mostrerò la via che porta a Brahmā. Ascolta e fai bene attenzione!»

«Sì, signore!»: replico allora Dhanañjani.

E il venerabile Sāriputta disse: «Ecco, un monaco dimora irradiando con animo amorevole una regione, poi una seconda, una terza una quarta; così fa in alto ed in basso: dappertutto ed in tutto riconoscendosi, egli dimora irradiando il mondo intero con animo amorevole, ampio, profondo, infinito, senza odio e senza rancore. Questa, Dhanañjani, è la via che porta all’unione con Brahmā. Inoltre ancora un monaco dimora irradiando con animo compassionevole, con animo lieto, con animo immoto una regione, poi una seconda, una terza una quarta; così fa in alto ed in basso: dappertutto ed in tutto riconoscendosi, egli dimora irradiando il mondo intero con compassionevole, con animo lieto, con animo immoto, ampio, profondo, infinito, senza odio e senza rancore. Questa, Dhanañjani, è la via che porta a Brahmā.»

«Allora, Sāriputta, inchinati da parte mia ai piedi del Sublime e digli: ‘Dhanañjani il bramino è sofferente, è gravemente malato; egli si inchina ai piedi del Sublime.’»

Quindi il venerabile Sāriputta, avendo indirizzato Dhanañjani nel caduco mondo di Brahmā, benché potesse farlo procedere oltre, si alzò dal suo posto e se ne andò. E, non molto tempo dopo che egli se n’era andato, Dhanañjani il bramino morì, per rinascere nel mondo di Brahmā. Il Sublime si rivolse ai monaci riferendo l’accaduto.

Quindi il venerabile Sāriputta giunse dal Sublime, salutò riverentemente, si sedette accanto e riferì le parole di Dhanañjani.
[Il Buddha:] «Perché, Sāriputta, avendo tu indirizzato quel bramino nel caduco mondo di Brahmā, benché potessi farlo procedere oltre, ti sei alzato dal tuo posto e te ne sei andato?»

«Io, Signore, ho pensato: ‘Questi brāhmani sono inclini al mondo di Brahmā. E se io ora a Dhanañjani il sacerdote mostrassi la via che porta all’unione con Brahmā?’»

«Morto, o Sāriputta, è Dhanañjani il bramino, egli ora è rinato nel mondo di Brahmā!».

(Dhanañjānisutta, Majjhima Nikāya 97)

Un sentiero di liberazione universale

Come abbia visto, l’insegnamento buddhista non contempla l’esistenza di un entità quale il Dio creatore origine di ogni cosa delle religioni monoteiste. La via del Buddha è incentrata sul problema della sofferenza esistenziale e della possibilità di porvi fine. Di fatto non è necessario cambiare religione o stile di vita per praticare il Dharma e ricavarne i relativi benefici. Praticando, i benefici si manifesteranno comunque, che si abbia fiducia nel Buddha e nel suo insegnamento o meno; Al contrario, senza praticare l’insegnamento, non vi sarà alcun beneficio, anche se desiderato; a questo proposito, illuminanti sono le parole del Buddha rivolte ad un eremita girovago di nome Nigroda :

«Nigrodha, potresti pensare: «L’asceta Gotama parla così per avere altri discepoli.» Ma saresti in errore, perché il tuo maestro deve rimanere il tuo maestro. Oppure, potresti pensare: «Egli vuole farci abbandonare le nostre regole», ma saresti in errore, perché le vostre regole devono rimanere le stesse. Oppure, potresti pensare: «Egli vuole farci abbandonare il nostro modo di vivere», ma saresti in errore, perché il vostro modo di vivere deve rimanere lo stesso. Inoltre potresti pensare: «Egli vuole farci credere che la nostra dottrina è falsa», ma saresti in errore: considera la tua dottrina come vuoi. Io non parlo così per altri scopi […] Nigrodha, vi sono cose non salutari che bisogna abbandonare, in quanto conducono a nuova esistenza, causano sofferenza, associate a nascita, vecchiaia e morte. Io insegno il Dharma al fine di abbandonare tali elementi. Se praticato rettamente, tutti questi elementi saranno sradicati e si otterrà, tramite la profonda visione, la liberazione e la retta conoscenza.»

(Udumbarika Sihanada Sutta, Digha Nikāya 25)

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