I tre concili e le diciotto scuole

Le Cave di Saptapanni, luogo del primo concilio buddhista

I TRE CONCILI BUDDHISTI

Secondo il Mahāparinibbāna­sutta, che poco prima della sua morte, il Buddha – consapevole delle differenze di vedute già presenti nell’ampia cerchia dei suoi discepoli – diede alcune indicazioni su come distinguere l’autentico Dharma dalle opinioni personali dei singoli monaci o gruppi di monaci. Queste istruzioni sono conosciute con il nome di Catumahāpadesa, i quattro grandi criteri.

«Quali sono, o monaci, i quattro grandi criteri? Ecco o monaci, un certo monaco potrebbe affermare: ‘Amici, proprio dalla bocca del Sublime io ho udito tale discorso, proprio dal lui ho appreso :”Così è il dharma, così è la disciplina, questo è l’insegnamento del Maestro”; le parole di questo monaco non dovrebbero essere né accettate con entusiasmo né rifiutate con avversione; evitando sia un’accettazione entusiastica che un rifiuto astioso, dopo aver appreso correttamente quelle affermazioni e spiegazioni semantiche, esse dovrebbero essere comparate con i sutta e con il Vinaya; se, comparati con i sutta e con il Vinaya, la lettera e lo spirito di queste parole non si accordano con i sutta e con il Vinaya, allora potrete giungere alla conclusione: Sicuramente non è questa la parola del Sublime e ciò è stato erroneamente inteso da quel monaco. A questo punto voi potrete rifiutare tale insegnamento. Viceversa se comparati con i sutta e con il Vinaya, la lettera e lo spirito di queste parole risultano coincidere con i sutta e con il Vinaya, allora potrete giungere alla conclusione: Sicuramente questa è la parola del Sublime e ciò è stato inteso correttamente da quel monaco. Allora voi potrete accettare ciò. ( lo stesso discorso è ripetuto in riguardo a un sangha, a un gruppo di dotti monaci anziani e a un unico dotto monaco anziano) ».

(Mahāparinibbānasutta, DN 16)

Tuttavia, l’implementazione dei quattro criteri non fu in grado di evitare il proliferare di interpretazioni divergenti degli stessi sūtra e delle regole monastiche, né di impedire il diffondersi di un vasto numero di discorsi liberamente attribuiti al fondatore da membri di questa o quell’altra scuola. Le complesse ragioni di queste divergenze sono da rintracciare nelle differenze culturali, politiche, linguistiche e ambientali tra i vari gruppi di monaci e nel rapporto fra quest’ultimi e i laici; queste differenze favorirono la comparsa di una molteplicità di tesi dottrinarie esposte in seguito in testi noti come aṭṭhakathā (commentari) e sastra (trattati).

I grandi concili (Saṅgāyana)

In ambito Theravāda, si ricordano sei grandi concili; tuttavia, ai fini della nostra ricerca, risultano di importanza rilevante i primi tre, tenutisi rispettivamente a Rajagaha (VI sec. a.C), Vaishali (V sec. a.C.) e Pataliputra, (l’odierna Patna), nel terzo secolo a.C.

Il Primo Concilio di Rajagaha

Circa tre mesi dopo la morte del Buddha fu tenuto un concilio in cui sarebbero stati fissati sia l’insegnamento che le regole della disciplina monastica, sulla base di ciò che era stato udito dai discepoli più vicini al maestro, in special modo Ānanda e Upāli, (l’ex barbiere dei Sakya, che in quanto addetto alla rasatura degli ordinandi aveva udito un’infinità di volte la recitazione della regola). Ānanda venne invitato a condividere i discorsi da lui uditi, mentre Upāli trasmise per intero la regola monastica. Il concilio, presieduto da Mahākassapa e patrocinato dal Re Ajātasattu, si svolse in una località chiamata “cava dei sette saggi”, -un terrazzamento roccioso comprensivo di sette cave che si affaccia sulla città di Rajgir, nell’odierno stato del Bihar. A questo proposito, scrive Barua:

«La storicità del primo concilio buddhista è stata una questione molto dibattuta tra gli studiosi. Oldenberg, seguito da Franke, ha messo in dubbio la sua storicità. Le loro obiezioni, tuttavia, sono state escluse da Jacobi. Di conseguenza, gli studiosi tendono a concordare sul fatto che un concilio ebbe luogo a Rajagrha subito dopo il Mahaparinirvana del Buddha, anche se le sue deliberazioni potrebbero non essere state così complete da includere la compilazione dei Sutta e dei Vinaya Pitaka nella loro interezza. Sembra, tuttavia, che gli anziani abbiano certamente cercato di recitare insieme l’intero Dhamma e il Vinaya alla prima occasione, in vista dell’ultimo pronunciamento del Buddha secondo cui il Dhamma e il Vinaya sarebbero stati d’ora in poi il loro maestro. Secondo il Cullavagga, il Concilio si tenne a Rajagrha nel secondo mese della stagione delle piogge. Mahakasyapa interrogò Upali sul Vinaya. È stato ipotizzato che, dai vari dettagli della recitazione del Vinaya, le domande riguardassero principalmente il Pratimoksa. inoltre, Ananda fu interrogato da Mahakasyapa sul Dhamma e in questo contesto furono recitati i cinque Nikaya del Suttapitaka. Il successivo svolgimento del primo concilio buddhista sembra essere permeato da note polemiche e tendenze dissenzienti. Quando Ananda informò i monaci dell’indicazione del Buddha secondo cui le regole minori della disciplina avrebbero potuto essere abolite dall’Ordine, ci fu un’accesa controversia su quali regole dovessero essere considerate minori. Questa controversia fu però risolta da Mahakasyapa, che propose di non stabilire nessuna regola sconosciuta e di non abrogare nessuna regola già conosciuta. Ci fu poi una divergenza tra i membri circa l’ammissione di Ananda al concilio. Un maggiore disaccordo sulle deliberazioni del concilio era ancora in serbo. Alla fine del Concilio, Mahakasyapa e altri cercarono l’approvazione di monaci anziani come Gavampati e Purana sui testi stabiliti al Concilio come Buddhavacana ( La Parola del Buddha). Gavampati preferì rimanere neutrale, il che viene interpretato come una sua esitazione ad accettare il canone recitato dai membri del Concilio. Purana, invece, rifiutò apertamente di accettare i testi recitati come parola del Buddha. Egli, invece, affermò di accettare come parola del Buddha ciò che egli stesso aveva sentito e appreso dalla bocca del Buddha medesimo. Questo dissenso da parte di Purana deve essersi ulteriormente aggravato in seguito alla sua insistenza affinché otto regole relative al cibo venissero incorporate nel Vinaya, cosa che tuttavia non avvenne.»

Secondo Buddhaghosa, gli insegnamenti del Buddha vennero raccolti in cinque Nikāya (raccolte) in ragione della loro lunghezza. I discorsi più lunghi furono raccolti nel Dīghanikāya (Raccolta dei testi lunghi), mentre i discorsi di media lunghezza vennero inseriti nel Majjhima Nikāya (Raccolta dei testi di media lunghezza); Nell’Aṅguttaranikāya (Raccolta Numerica) vennero inclusi i discorsi numerati. Alcuni sutta furono riuniti in base all’argomento e raccolti nel Saṃyutta Nikāya (Raccolta dei Discorsi in Gruppi); infine, i discorsi più brevi venenro inclusi nel Khuddaka Nikāya (Raccolta dei discorsi Brevi). Ognuna di queste raccolte venne quindi assegnata ad un gruppo di monaci allievi di uno stesso maestro per memorizzarli e preservare il Dhamma per le future generazioni. Il Dīghanikāya venne assegnato ai discepoli di Ānanda, Il Majjhima Nikāya ai discepoli di Sāriputta, l’Aṅguttaranikāya ai discepoli di Anuruddha ed Il Saṃyutta Nikāya ai discepoli di Mahākassapa. Il Khuddaka Nikāya venne memorizzato da tutti i monaci collettivamente e così preservato nei secoli. E fu proprio per via delle divergenti interpretazioni date a questi testi che si vennero a formare le varie scuole o Nikaya.

Il Secondo Concilio di Vesāli

Un secolo dopo questo primo concilio, all’interno della comunità monastica vennero a manifestarsi delle divergenze in merito ad alcuni punti minori della disciplina monastica: secondo la versione Theravāda, un gruppo di monaci del clan dei Vajji di Vesāli propose di emendare le seguenti dieci regole monastiche:

1. La possibilità di conservare del sale per condire gli alimenti non saporiti;

2. Il mangiare fuori dal tempo prescritto, ovvero anche dopo mezzogiorno;

3. Andare nei villaggi e accettare altro cibo dopo aver consumato il pasto principale;

4. Celebrare l’assemblea mensile (uposatha) in diverse sedi dello stesso distretto;

5. Prendere decisioni sull’amministrazione dell’ordine in assenza del numero legale;

6. Seguire l’esempio del proprio precettore/maestro anche in caso di comportamenti erronei o contrari al Dhamma e alla disciplina;

7. Bere latte non frullato;

8. Bere bevande alcoliche non fermentate;

9.Utilizzare stuoie per sedersi non rifinite da frange (senza orli);

10.Accettare oro e argento dai laici, cioè il denaro.

Queste proposte suscitarono polemiche e discussioni senza fine; vennero così a formarsi due fazioni, i favorevoli e i contrari. Al fine di risolvere la questione, venne indetto un nuovo concilio per risolvere la questione. Non riuscendo però a trovare una posizione comune, venne indetto un referendum a cui parteciparono gli otto monaci più anziani viventi, i quali rigettarono in toto le proposte dei vajjiputtaka. Circa trent’anni dopo, gli stessi monaci tennero un contro-concilio dove vennero elaborate le seguenti cinque tesi nelle quali veniva messo in discussione lo stato di arahant:

1. Un Arahant può essere soggetto a sogni erotici accompagnati da polluzioni notturne;

2. Un Arahant non ha la piena conoscenza in riguardo ad argomenti non dharmici;

3. Un Arahant può essere soggetto al dubbio in riguardo a cose diverse dal Dharma;

4. Non è possibile ottenere la condizione di Arahant senza l’ausilio di un maestro esterno;

5. Un Arahant potrebbe intraprendere il nobile sentiero sulla base di stati d’animo negativi come la tristezza o la pena.

A questo contro-concilio, presieduto dal monaco Mahadeva, prese parte un grande numero di monaci, e per questa ragione, i suoi partecipanti presero il nome di Mahāsāṃghika, quelli della grande assemblea. I monaci anziani, rimasti in minoranza, rigettarono simili speculazioni costruite ad arte contro di loro, decisi a preservare l’insegnamento nella sua forma originaria. Si consumò quindi la prima vera e propria scissione: da una parte i Mahāsāṃghika, e dall’altra gli Sthavira. Nel secolo successivo, le due fazioni si frammentarono in almeno diciotto congregazioni o nikaya; cinque si originarono dai Mahāsāṃghika e 11 dal gruppo dei Thera. Secondo il Mahāvaṃsa:

«Quel [primo] concilio tenuto all’inizio dai Mahathera capeggiati da Mahakassapa si chiama concilio dei thera. Una sola fu la Dottrina dei monaci anziani, nei primi cento anni; in seguito da quella nacquero altre scuole. Quei monaci dissidenti, in tutto diecimila, che erano stati censurati dai Thera del secondo concilio fondarono la scuola detta Mahāsāṃghika; da questa ebbe origine la Gokulikā e l’Ekavyohārikā. Dai Gokulikā nacquero la Pannattivāda e la Bahulikā, e da questa la Cetiyavāda; con la Mahāsāṃghika in tutto sei scuole. Inoltre, dai Therāvdin (gli anziani) nacquero queste due scuole: quella dei monaci Mahīmśāsaka e quella dei Vajjiputtaka. Dai Vajjiputtaka nacquero i dhammuttariya, i Bhaddayānika, i Chandāgārika, e i Sammiti. Dai monaci Mahīmśāsaka nacquero inoltre questi due: i Sabbatthavādin e i dhammaguttika; dai Sabbatthavādin nacquero i Kassapiya e da questi i Sankatika; dai Sankatika nacquero i Suttavādin. Insieme alla scuola Theravāda queste sono le dodici che, con le sei anzidette, fanno diciotto. Nei successivi cento anni sorsero altre diciassette scuole, e altre ancora ne sorsero in seguito: La Hemavata, la Rājagirika, la Siddhatthaka, quella dei monaci Pubbaseliya, l’ Aparaseliya e la Vajiriya; queste sei limitatamente al Jambudipa (India). La Dhammaruci e la Sagaliya limitatamente all’isola di Lanka.»

I punti di divergenza

Secondo C.G. Pande, i principali argomenti di divergenza fra le varie scuole furono: «1. la natura trascendente (lokottarā) del Buddha. 2. Se ogni parola del Buddha è capace di liberare dal samsara colui che le ascolta. 3.  inoltre, quando venivano notata delle contraddizioni nei testi canonici, sorse il problema distinguere i sutra il cui significato è diretto o esplicito (nitartha) da quelli dal significato recondito o indiretto (neyyata). In seguito, questo portò allo sviluppo della teoria delle Due Verità della scuola Satyasiddhi, considerata come l’anello di congiunzione fra le scuole del Nikāya e il Mahāyāna. 4.Assieme alla questione sulla trascendenza del Buddha, sorse quello circa la sua nascita ed il rapporto con il sangha. 5. Mentre l’ideale del Buddha diventava sempre più preponderante, quello dell’Arahant entrava in declino, e questo era il punto più dibattuto dell’intera gamma delle controversie settarie. 6. Il problema dell’esistenza del Pudgala. (persona).  7. Il problema dell’Antarabhava (stato intermedio). 8. l’esistenza degli oggetti passati e futuri. 9. la natura degli Anusaya o passioni latenti. 10. il funzionamento della coscienza. 11. il numero di Asamkrta (fenomeni incondizionati). 12. l’ordine del Bhavana ( meditazione, sviluppo interiore) e dell’abhisamaya ( realizzazione). »

Sempre secondo Pande, «I principali filoni che vennero così a svilupparsi  furono: il docetismo nella scuola Mahāsāṃghika, e in seguito, nel Mahāyāna; il Pudgalavāda (personalismo) nella scuola Vajjiputtaka e nel Sarvāstivāda, e la teoria del Dharma (natura dei fenomeni), principalmente nei testi Abhidharma dei Sarvāstivāda e dei Sthaviravāda. I fattori che maggiormente portarono alla nascita del docetismo buddhista posso essere così riassunti: Una naturale tendenza condusse alla glorificazione del Buddha, e fantasie mitiche vennero tessute attorno alla sua personalità. Egli venne investito di qualità sovrumane. Nacque così l’idea che egli non potesse essere soggetto alle limitazioni della vita ordinaria, in quanto Il Buddha non poteva che essere totalmente perfetto. […] Il Buddha, perciò, non visse mai come essere umano ordinario, apparendo tale per compassione verso gli ignoranti.»

Il terzo concilio di Pataliputra

Secondo il Kathāvatthu, circa trecento anni dopo il trapasso del Buddha, L’imperatore Asoka, dopo avere constatato la morte di milione di persone durante la battaglia finale contro il Re del Kalinga, precipitò in uno stato di disgusto profondo. Fu in quel periodo che un giovane arahant di soli sette anni di nome Nigrodha venne in aiuto dell’imperatore, aiutandolo a superare i sensi di colpa. Asoka rimase così impressionato da Nigrodha al punto di sviluppare una vera e propria adorazione verso il Buddhismo. Asoka ordinò la costruzione di 84.000 Stupa e monasteri in tutta l’India in onore degli 84.000 insegnamenti del Buddha. In conseguenza dell’espansione dell’ordine del Buddha, un gran numero di persone venne attratta dal Buddhismo, e per questa ragione divenne difficile persino trovare persone disposte a sostenere i sacerdoti delle altre religioni. Così, molti di questi sacerdoti entrarono nell’ordine buddhista. Per loro non rimaneva nient’altro da fare se non diventare monaci buddhisti. In questo modo, centinaia di sacerdoti vennero ordinati monaci buddhisti, ma invece di vivere in accordo agli insegnamenti del Buddha, questi continuarono a praticare i vecchi rituali ed i sacrifici all’interno dei monasteri. I monaci virtuosi cominciarono a svolgere le loro attività separatamente rifiutandosi di celebrare l’Uposatha (la pratica dell’ osservanza dei precetti per i monaci) assieme ai monaci corrotti. In questo modo, la cerimonia di Uposatha non venne più celebrata per sette anni. Infastidito da questo stato di cose, Asoka inviò un emissario per convincere i monaci a celebrare l’Uposatha congiuntamente; quando questi si rifiutarono di sottostare all’ingiunzione di Asoka, l’emissario, in un eccesso di zelo, decapitò con la propria spada ciascuno di quei monaci. Rammaricato per l’accaduto, Asoka indisse un nuovo concilio, con l’intento di purificare la dottrina buddhista dalle contaminazioni delle credenze ad esso estranee. Questo terzo concilio si tenne a Pāṭaliputra, sotto la supervisione di Moggalliputta Tissa, il monaco più anziano ed esperto di quell’epoca. Alla fine di questo terzo concilio, Asoka decise di inviare gruppi di monaci in qualità di messaggeri al fine di diffondere gli insegnamenti del Buddha . L’arrivo dell’Arahant Mahinda a Ceylon (Sri Lanka) fu il risultato di questo grande sforzo prodotto da parte del Re Asoka. Fu proprio durante il concilio di Pataliputra che Moggalliputta Tissa scrisse il Kathāvatthu  (libro sulle controversie), al fine di confutare le teorie da lui considerate eretiche delle altre scuole. Buona parte delle notizie circa le diciotto scuole e le relative posizioni dottrinarie derivano proprio dal testo di Moggalliputta. Il Kathāvatthu documenta oltre 200 controversie. I punti discussi sono divisi in quattro paṇṇāsaka (letteralmente “gruppo di 50”). Ogni paṇṇāsaka è di nuovo diviso in 20 capitoli (vagga) in tutto. Inoltre, altri tre vagga seguono i quattro pañāsaka. Ogni capitolo contiene domande e risposte per mezzo delle quali vengono presentate, confutate e respinte le opinioni più diverse.

GENESI DEI NIKAYA

L’origine e lo sviluppo delle diciotto scuole del Buddhismo antico indiano è tutt’ora oggetto di dibattito e controversie, data la scarsità delle fonti certe e la molteplicità dei resoconti tramandatici dalle differenti tradizioni. Della lista della diciotto scuole vi sono cinque versioni differenti: quella dei Theravadin, preservata in testi quali il Kathāvatthu («Le Controversie»), il Mahavansa e il dipavamsa; quella contenuta nel testo di Vasumitra intitolato Samayabhedoparacana cakra; Il testo di Vinitadeva, un monaco Mūlasarvāstivādin; quella contenuta nel testo della scuola Mahāsāṃghika intitolato Śāriputraparipṛcchā, e quella tramandataci dai testi Mahāyāna del Buddhismo cinese. In questo studio seguiremo la traccia fornitaci dal Kathāvatthu, dal Mahāvamsa e dal Dipavamsa della tradizione Theravāda, attingendo da altre fonti, come il testo di Vasumitra, al fine di fornire una descrizione più chiara possibile degli elementi dottrinali che contraddistinguono ciascuna scuola.

Nel cercare di comprendere la genesi delle scuole del Buddhismo indiano, bisogna innanzitutto tenere a mente che, come spiegato in maniera esauriente dal Prof. Richard Gombrich ne Il Pensiero del Buddha, con il passare del tempo e il diffondersi del Buddhismo su vasta scala in luoghi lontani dalla terra d’origine, vennero persi di vista sia il contesto sociale originario, sia il significato della fraseologia impiegata dal Buddha nell’esporre il Dhamma, il quale era solito utilizzare una terminologia familiare ai propri interlocutori, giocando con l’etimo delle parole, le quali venivano svuotate del loro significato originario e riempiete con un nuovo significato. Questo processo di risemantizzazione è probabilmente alla base dei molti fraintendimenti nonché di certe interpretazioni erronee perorate dai sostenitori delle varie correnti, i quali, sempre per citare Gombrich, probabilmente presero un po’ troppo alla lettera discorsi dal significato fortemente astratto e metaforico.

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