Mahā­puṇṇama­sutta: Chi rinasce?

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Mahā­puṇṇama­sutta, MN 109

Il Discorso esteso della notte di plenilunio

KARMA E NON SÉ: CHI RINASCE?
La risposta del Buddha ad un annoso quesito

In questo dialogo, il Buddha spiega la natura condizionata e vuota di un sé sostanziale e autonomo degli aggregati psicofisici costituenti la persona, la quale è pur sempre soggetta, nei tre tempi, ai risultati delle proprie azioni.

In una certa occasione il Beato viveva a Sāvatthi nel palazzo della madre di Migāra, nel Parco Orientale. In quell’occasione era il giorno Uposatha, della quindicina, nella notte di luna piena, e il Beato era seduto all’aperto circondato dal Sangha dei monaci. Allora uno dei monaci[1] si alzò dal suo posto, si sistemò la veste su una spalla, giunse i palmi delle mani uniti verso il Beato e disse: “Vorrei chiedere al Beato qualcosa su un certo punto, se ti prendessi il tempo di rispondere”.

“Bene, allora, monaco, siediti al tuo posto e chiedi ciò che desideri”.

Quel monaco si sedette al proprio posto e disse al Beato:

“Signore, sono questi i cinque aggregati afferranti: forma, sensazione, percezione, intenzioni e coscienza?”

“Sì, lo sono”, rispose il Beato.

Dicendo “Bene, signore”, il monaco approvò e concordò con le parole del Beato. Poi fece un’altra domanda:

“Ma signore, qual è la radice di questi cinque aggregati soggetti all’afferrare?”

“Questi cinque aggregati soggetti all’afferrare sono radicati nel desiderio”.

“Ma signore, l’afferrare è esattamente la stessa cosa dei cinque aggregati soggetti all’afferrare oppure l’afferrare è una cosa e i cinque aggregati soggetti all’afferrare un’altra?”

“Nessuna delle due cose. Piuttosto, il desiderio e l’avidità per essi è l’afferrare, in questo caso”.

“Ma signore, possono esserci diversi tipi di desiderio e avidità per i cinque aggregati soggetti all’afferrare?”

Si può”, disse il Beato. “È quando qualcuno pensa: ‘In futuro, possa io essere di tale forma, tale sentimento, tale percezione, tali intenzioni e tale coscienza!”. È così che possono esistere diversi tipi di desiderio e di avidità per i cinque aggregati soggetti all’afferrare”.

“Signore, qual è la portata del termine ‘aggregati’ applicato agli aggregati?”

“Qualsiasi tipo di forma – passata, futura o presente; interna o esterna; grossolana o fine; inferiore o superiore; lontana o vicina: questo è chiamato aggregato di forma. Qualsiasi tipo di sensazione… qualsiasi tipo di percezione… qualsiasi tipo di intenzione… qualsiasi tipo di coscienza, passata, futura o presente, interna o esterna, grossolana o fine, inferiore o superiore, lontana o vicina: questo è chiamato l’aggregato della coscienza. Questo è la portata del termine ‘aggregati’ applicato agli aggregati”.

“Qual è la condizione, signore, qual è il fondamento per cui esiste l’aggregato della forma? Qual è la condizione, qual è il fondamento per cui esiste l’aggregato della sensazione… della percezione… delle intenzioni… della coscienza?”

“I quattro elementi primari sono la condizione per l’aggregato della forma; Il contatto è la condizione per gli aggregati di sentimento, percezione e delle intenzioni. Nome e forma sono la condizione per l’aggregato della coscienza”.

“Ma signore, come si genera la visione sostanzialista (sakkāyadiṭṭhi)?”

“Un incolto uomo comune, privo della visione dei nobili, ignorante in riguardo al Dhamma dei nobili, senza esperienza nel Dhamma dei nobili, considera la forma come sé, il sé come forma, la forma nel sé o il sé nella forma. Considera la sensazione come sé, il sé come avente la sensazione, la sensazione nel sé o il sé nella sensazione. Considera la percezione come sé, il sé come avente percezione, la percezione nel sé o il sé nella percezione. Considera le intenzioni come il sé, il sé come padrone delle intenzioni, le intenzioni nel sé o il sé nelle intenzioni. Considera la coscienza come il sé, il sé come avente coscienza, la coscienza nel sé o il sé nella coscienza. Ecco come nasce la visione sostanzialista”.

“Ma signore, come non si genera la visione sostanzialista?”

“Quando un nobile esperto discepolo, dotato della visione dei nobili, abile e disciplinato nel loro Dhamma, dotato della visione delle persone autentiche, abile e disciplinato nel loro Dhamma, non considera la forma come sé, il sé come forma, la forma nel sé o il sé nella forma. Non considera la sensazione come sé, il sé come avente la sensazione, la sensazione nel sé o il sé nella sensazione. Non considera la percezione come sé, il sé come avente percezione, la percezione nel sé o il sé nella percezione. Non considera le intenzioni come il sé, il sé come padrone delle intenzioni, le intenzioni nel sé o il sé nelle intenzioni. Non considera la coscienza come il sé, il sé come avente coscienza, la coscienza nel sé o il sé nella coscienza.  È così che non nasce la visione sostanzialista”.

“Signore, qual è la gratificazione, lo svantaggio e la via d’uscita quando si tratta di forma, sensazione, percezione, intenzioni e coscienza?”

“Il piacere e la felicità che derivano dalla forma: questa è la sua gratificazione. La forma è mutevole, insoddisfacente e deperibile: questo è il suo svantaggio. L’abbandono e il rinunciare al desiderio e all’avidità per la forma: questa è la via d’uscita da essa. Il piacere e la felicità che nascono dalla sensazione… dalla percezione…dalle intenzioni…dalla coscienza: questa è la gratificazione. Che la coscienza sia mutevole, insoddisfacente e deperibile: questo è il suo svantaggio. L’abbandono e il rinunciare al desiderio e all’avidità per la coscienza: questa è la via d’uscita da essa”.

“Signore, come si fa a conoscere, a vedere, in modo che non vi sia il costrutto del’’io’, il costrutto del ‘mio’, né la tendenza latente alla presunzione in riguardo questo corpo dotato di coscienza e per tutti gli oggetti esterni?”

“Quando si vede rettamente ogni tipo di forma – passata, futura o presente; interna o esterna; grossolana o fine; inferiore o superiore; lontana o vicina: ogni forma – con la giusta comprensione: questo non è mio, io non sono questo, questo non è il mio sé”; quando si vede rettamente qualsiasi tipo di sensazione…di percezione…di intenzioni…di coscienza – passata, futura o presente; interna o esterna; grossolana o fine; inferiore o superiore; lontana o vicina: tutta la coscienza – con la giusta comprensione: Questo non è mio, io non sono questo, questo non è il mio sé”: ecco come conoscere e vedere in modo che non vi sia il costrutto del’’io’, il costrutto del ‘mio’ , né la tendenza latente alla presunzione in riguardo a questo corpo dotato di coscienza e per tutti gli oggetti esterni “.

In quel momento uno dei monaci pensò: “Così sembra, buon signore, che la forma, la sensazione, la percezione, le intenzioni e la coscienza siano non sé. Allora, su quale sé influiranno le azioni (kamma) compiute da un non sé?”.

Ma il Beato, intuendo cosa stava pensando quel monaco, si rivolse ai monaci: “È possibile che qualche sciocco qui – ignaro e ignorante, con la mente dominata dalla brama – pensi di poter oltrepassare le istruzioni del maestro pensando: ‘Così sembra, buon signore, che la forma, la sensazione, la percezione, le intenzioni e la coscienza siano non sé’. Allora, su quale sé influiranno le azioni compiute da un non sé?”. [2]

Ora, monaci, non foste voi istruiti da me sulla condizionalità in molti modi?[3]

Cosa ne pensate, monaci? La forma è permanente o mutevole?”.

“Mutevole, signore”.

“Ma se è mutevole, è insoddisfacente o [fonte di] felicità?”

“Insoddisfacente, signore”.

“Ma se è mutevole, insoddisfacente e soggetto per natura al cambiamento, è adatta a essere considerata così: ‘Questo è mio, io sono questo, questo è il mio sé’?”.

“No, signore”.

“Cosa ne pensate, monaci? la sensazione…la percezione…le intenzioni…la coscienza sono permanenti o mutevoli?”.

“Mutevoli, signore”.

“Ma se è mutevole, è insoddisfacente o [fonte di] felicità?”

“Insoddisfacente, signore”.

“Ma se è mutevole, insoddisfacente e soggetta per natura al cambiamento, è adatta a essere considerata così: ‘Questo è mio, io sono questo, questo è il mio sé’?”.

“No, signore”.

“Perciò, monaci, voi dovreste veramente vedere qualsiasi tipo di forma – passata, futura o presente; interna o esterna; grossolana o fine; inferiore o superiore; lontana o vicina: ogni forma – con la giusta comprensione: “Questo non è mio, io non sono questo, questo non è il mio sé”. Dovreste veramente vedere qualsiasi tipo di sensazione…di percezione…di intenzione…di coscienza – passata, futura o presente; interna o esterna; grossolana o fine; inferiore o superiore; lontana o vicina, tutta la coscienza – con la giusta comprensione: Questo non è mio, io non sono questo, questo non è il mio sé”. Vedendo questo, un nobile discepolo colto  prova disincanto verso la forma, sensazione, percezione, intenzioni e coscienza. Essendo disincantato, il desiderio svanisce. Quando il desiderio svanisce, è liberato. Quando è liberato, sa di esserlo. Ed egli realizza ‘Esausto il nascere, il percorso spirituale è stato completato, ciò che doveva essere fatto è stato fatto, non c’è ritorno a nessuno stato di esistenza’”.

Questo è ciò che disse il Beato. Soddisfatti, i monaci approvarono le parole del Beato. E mentre questo discorso veniva pronunciato, le menti di quei sessanta monaci si liberarono dalle afflizione tramite il non attaccamento.

NOTE

1.Secondo il commentario, questo monaco era un arahant, e tuttavia decise di porre le seguenti domande al Buddha per il beneficio dei propri allievi ivi radunatisi.

2.La domanda si basa su un fraintendimento dell’insegnamento sul karma e non sé, e sull’incapacità dell’interlocutore (nonostante le spiegazioni appena ricevute ) di pensare in termini diversi dalla visione sostanzialista il cui fondamento è la concezione di un sé permanente e indipendente. L’eternalismo sostanzialista fraintende in senso meramente nichilistico l’insegnamento sul non-sé, considerandolo come una mera negazione del sé statico e indipendente che di fatto (nell’ottica del Buddha) semplicemente non esiste (e quindi non necessita di essere negato).

3.“Paṭivinītā kho me tumhe, bhikkhave, tatra tatra dhammesu.” Bhikkhu Bodhi ha tradotto questo passo come “Now, mendicants, you have been educated by me in questioning with regard to all these things in all such cases.” Tuttavia, secondo Walpola Rahula e Nyanamoli Thera, è preferibile la variante “paṭicca vinītā” , “istruiti circa la condizionalità”. Questa seconda interpretazione si accorda maggiormente con la posizione buddista secondo la quale la continuità esistenziale non necessita di alcun sé o anima eterna e autonoma, essendo un processo determinato da un complesso intreccio di elementi concatenati.

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